Nella Gazzetta Ufficiale del 3 ottobre 2024 è stato pubblicato il D.Lgs. n. 141/2024 che, in attuazione della legge delega fiscale (legge n. 111/2023) abroga e sostituisce integralmente l’ormai previgente Testo Unico delle Leggi doganali - TULD (D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43). Quali sono le principali novità della riforma delle dogane? I “nuovi” controlli dell’Agenzia delle Dogane Le nuove disposizioni nazionali complementari al CDU hanno introdotto importanti novità in materia di controlli doganali e procedure di accertamento, al fine di razionalizzare il sistema e migliorare l’efficienza e la qualità dei controlli. Al riguardo, l’art. 4 prevede un maggior coordinamento delle attività di controllo tra Agenzia delle Dogane e Guardia di Finanza nell’ambito delle rispettive aree di competenza. Inoltre, nell’ottica di garantire l’osservanza delle norme in materia doganale e valutaria, l’art. 14 estende il potere di effettuare visite, ispezioni e controlli sui mezzi di trasporto, i bagagli dei passeggeri ovvero nei confronti della persona, anche al di fuori dagli spazi doganali, stabilendo la competenza esclusiva della Guardia di finanza. Tra le principali modifiche introdotte dalla novella si segnala altresì il superamento, all’art. 34, dell’istituto - ormai obsoleto - della controversia doganale, che lascia spazio al diritto di difesa anticipato in fase di accertamento e al contraddittorio endo-procedimentale. Tale disposizione riguarda, nello specifico, l’ipotesi in cui, in sede di controllo della dichiarazione e delle merci soggette a verifica, l’Agenzia delle Dogane decida di procedere alle analisi chimiche di laboratorio al fine di individuare la classificazione doganale. Ferma restando la necessaria notifica del risultato di dette analisi all’operatore, il comma 2 dell’art. 34 prevede che il dichiarate possa chiedere, nei 10 giorni successivi, la ripetizione delle analisi, il cui esito gli deve essere sempre notificato. Viene così abrogata la precedente impostazione del TULD, che riconosceva al contribuente il diritto di contestare il risultato delle analisi mediante la ripresa del contraddittorio, potendo contestare l’esito delle nuove analisi mediante instaurazione della controversia doganale. Ai sensi del successivo comma 3, l’Ufficio deve redigere un verbale di constatazione, da notificare alla parte, qualora, a seguito delle verifiche, riscontri: a) il mancato soddisfacimento delle condizioni previste per il vincolo al regime richiesto; b) la presentazione di merci oggetto di divieti o restrizioni; oppure c) la determinazione di un importo dei diritti di confine diverso da quello risultante dagli elementi della dichiarazione. Sotto il profilo contenutistico, tale provvedimento dovrà contenere informazioni sulle attività che verranno poste in essere, nonché essere adeguatamente motivato, con l’indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche su cui si fonda. Dalla data di notifica del verbale, la parte ha diritto di attivare il contraddittorio entro il termine di 30 giorni. Se i campioni da sottoporre ad analisi di laboratorio hanno a oggetto merci non conformi alla legge in punto di sicurezza e igiene, la Dogana definisce un termine entro il quale l’operatore deve provvedere al loro ritiro, decorso inutilmente il quale procede alla distruzione della merce (art. 35). Infine, sempre in materia di controlli e verifiche, l’art. 37 affianca al preesistente sistema centralizzato delle visite di controllo la possibilità che, fino a quando le merci vengono messe a disposizione del proprietario o del vettore, la valutazione del rischio sia eseguita su iniziativa dei competenti funzionari dell’Agenzia delle Dogane, con conseguenti visite occasionali, anche su richiesta della Guardia di finanza. L’IVA all’importazione rientra tra i diritti doganali Il legislatore, in apparente contrasto con la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE e della Corte di Cassazione, ha ricompreso, tra i diritti doganali, anche l’IVA all’importazione. Sulla natura di tale tributo si sono sviluppati numerosi contenziosi, nazionali ed europei, i quali, pur avendo oggetti diversi (ad esempio, duplicazione dell’IVA in caso di accertamenti riguardanti l’inclusione delle royalties nel valore doganale o in caso di estrazioni dai depositi IVA, responsabilità solidale del rappresentante doganale indiretto, applicazione dell’ormai superato art. 303 TULD, etc.), vertevano, di fatto, attorno alla medesima questione di diritto. Al riguardo, la Corte di Giustizia ha più volte affermato che l’IVA interna e l’IVA all’importazione rappresentano il medesimo tributo e che “l’IVA all’importazione non fa parte dei dazi all’importazione, ai sensi dell’art. 5, punto 20 del regolamento UE 9 ottobre 2013 n. 952” (Corte di Giustizia C-714/20; Corte di Giustizia C-272/13). In tal senso si sono recentemente pronunciate anche le Sezioni Unite della Cassazione, le quali, con sentenza n. 18286/2024, hanno chiarito che “la diversità tra dazi e IVA all’importazione comporta che, ai fini della determinazione delle sanzioni, non può essere cumulato il rispettivo ammontare dei diritti evasi” (cfr. anche Cass. n. 17529 e n. 16694 del 2019, n. 25646 e n. 8473/2018). L’IVA all’importazione, pertanto, essendo estranea all’obbligazione doganale, ma incardinandosi nel sistema generale dell’IVA, può essere assolta mediante il meccanismo contabile del reverse charge e non deve essere cumulata con i dazi per l’individuazione dello scaglione applicabile ex art. 303, c. 3 TULD. Tale impostazione sembrerebbe non riflettersi nell’art. 27 delle nuove disposizioni nazionali complementari al CDU, il quale, al comma 2, prevede che, fra i diritti doganali, costituiscono diritti di confine, oltre ai dazi all’importazione e all’esportazione previsti dalla normativa unionale, anche l’imposta sul valore aggiunto, dovuta all’atto dell’importazione, a favore dello Stato. L’IVA, invece, non è un diritto di confine nei casi di: a) immissione in libera pratica di merci senza assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto per successiva immissione in consumo in altro Stato membro dell’Unione europea (c.d. regime 42); b) immissione in libera pratica di merci senza assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto e vincolo a un regime di deposito diverso dal deposito doganale. Tale norma sembrerebbe non soltanto porsi in forte contrasto con i chiari principi espressi dalla Corte di Giustizia UE, che distingue - sotto il profilo sostanziale - i dazi all’importazione dall’IVA, ma anche con la delega al Governo per la riforma fiscale del 14 marzo 2023, il cui art. 11 (Revisione della disciplina doganale) prescriveva di “procedere al riassetto del quadro normativo in materia doganale attraverso l’aggiornamento o l’abrogazione delle disposizioni attualmente vigenti, in conformità al diritto eurounitario in materia doganale”. Nel rispetto di tale disposizione e della sentenza della Corte di Giustizia UE 12 maggio 2022, C-714/20, infatti, il legislatore avrebbe dovuto estendere ai rappresentanti doganali indiretti la soggettività passiva in merito all’IVA all’importazione (ampliando così il novero dei soggetti passivi d’imposta), ma non anche far rientrare tale tributo tra i diritti doganali. La rappresentanza doganale Le nuove disposizioni nazionali complementari al CDU disciplinano con chiarezza la figura del rappresentante doganale, ponendo particolare attenzione alla rappresentanza diretta. Tale istituto consente agli operatori economici di far gestire a un professionista terzo i rapporti con l’Ufficio per l’espletamento delle relative operazioni, che richiedono un'elevata competenza tecnica. In dogana, la rappresentanza può essere diretta, laddove il rappresentante doganale agisce in nome e per conto di un'altra persona (mandato con rappresentanza), ovvero indiretta, quando il rappresentante doganale agisce in nome proprio, ma per conto di un'altra persona (mandato senza rappresentanza). Nel primo caso, il soggetto passivo d’imposta è l’operatore economico; nel secondo, il dichiarante doganale diventa responsabile, in solido con l'importatore, dell’obbligazione tributaria (art. 77, par. 3, del CDU). Proprio per questo motivo la rappresentanza doganale indiretta è libera, mentre quella diretta è subordinata al possesso di determinati requisiti. Al riguardo, sia la normativa unionale che l’art. 31 delle nuove disposizioni nazionali complementari al CDU prevedono che coloro che intendono agire in rappresentanza diretta devono essere muniti di un apposito contratto di mandato. Inoltre, l’abilitazione a prestare i servizi di rappresentanza diretta è rilasciata dall’Agenzia delle Dogane in assenza di condanne penali, passate in giudicato, e di violazioni gravi e ripetute della normativa doganale e fiscale, nonché accertato il rispetto di standard minimi di competenza o qualifiche professionali direttamente connesse all’attività del rappresentante, che saranno fissati con un provvedimento dell’Ufficio. Hanno sempre diritto a operare in rappresentanza diretta gli spedizionieri doganali iscritti all’albo professionale, i CAD e i soggetti AEO (art. 31, comma 3). Un operatore economico extra-UE, invece, per effettuare operazioni doganali in Italia (i.e. importazioni) deve farsi rappresentare da un soggetto stabilito nell’UE, il quale deve obbligatoriamente agire in rappresentanza indiretta (cfr. Agenzia delle Dogane, circolare n. 40/D/2021). Gli atti impositivi, i PVC e le decisioni sono notificati correttamente se trasmesse al solo rappresentante, a condizione che il rappresentato non abbia comunicato all’Agenzia la revoca del mandato. La rappresentanza diretta può essere sospesa dal Direttore territoriale dell’Agenzia, su proposta del Direttore del locale ufficio, per un periodo - in generale - non superiore a sei mesi, in due ipotesi: i) mancato pagamento dei diritti liquidati per le operazioni doganali compiute o di qualsiasi altro obbligo doganale; ii) condanna non definitiva alla pena della reclusione per una durata superiore a un anno per la commissione di taluni delitti. È sempre sospesa l’abilitazione alla rappresentanza diretta se, nei confronti del rappresentante (si ritiene inteso sia come persone fisica che come legale rappresentante di un’azienda AEO), è applicata la misura della custodia in carcere o degli arresti domiciliari. L’art. 33, infine, disciplina i casi - più gravi - di revoca alla possibilità di operare in rappresentanza diretta, che, per i professionisti iscritti all’albo, può intervenire solo dopo che l’Agenzia ha sentito il Consiglio nazionale degli spedizionieri doganali. La revisione dell’accertamento La riforma, con gli articoli da 40 a 43, ha operato un profondo intervento anche in relazione alle ipotesi di revisione dell’accertamento, che intervengono in un momento successivo allo svincolo delle merci. Con particolare riferimento ai poteri istruttori attribuiti all’Agenzia delle Dogane e alla Guardia di Finanza, non si registrano particolari novità. L’art. 40, comma 2, infatti, prevede che tali autorità possano: a) invitare formalmente gli operatori a comparire, anche a mezzo di rappresentante, o a fornire notizie e documenti relativi alle merci, in un termine non inferiore a 15 giorni; b) accedere, previa apposita autorizzazione rilasciata dai responsabili dei rispettivi uffici, nei luoghi adibiti all’esercizio di attività produttive e commerciali e negli altri luoghi dove devono essere custodite le scritture e la documentazione inerenti alle merci, al fine di procedere all’eventuale ispezione di tali merci e alla verifica della relativa documentazione. Qualora emergano frodi legate all’IVA, le autorità possono procedere con le indagini finanziarie, di cui all’art. 51, comma 2, D.P.R. n. 633 del 1972. I controlli a posteriori, ai sensi del nuovo art. 41, devono obbligatoriamente concludersi con apposito verbale di constatazione, il quale deve essere notificato alla parte interessata dal controllo e trasmesso all’Ufficio doganale competente per la revisione delle dichiarazioni. La revisione a posteriori è effettuata dall’Agenzia presso la quale è stata registrata la dichiarazione di importazione, salvo il caso in cui il controllo abbia a oggetto dichiarazioni doganali presentate presso due o più Uffici. In tal caso, è competente all’accertamento l’Ufficio nel cui ambito territoriale è ubicata la sede legale della società. La parte, nel rispetto del diritto a essere ascoltati, può presentare osservazioni difensive o richieste di chiarimento entro il termine di trenta giorni, che devono essere prese in considerazione dall’Ufficio, il quale, in caso di mancato accoglimento, ha l’obbligo di notificare all’operatore il provvedimento impositivo, debitamente motivato. Temporanea esportazione e provviste di bordo Temporanea esportazione La modifica legislativa è intervenuta in modo sostanziale sull’istituto della temporanea importazione ed esportazione, finora disciplinato dall’art. 214 TULD. L’art. 72 delle disposizioni nazionali complementari al CDU, infatti, ha eliminato qualsiasi riferimento alla temporanea importazione, mentre sono state limitate le fattispecie di applicazione dell’esportazione temporanea. In particolare, in base al nuovo articolo, il regime di temporanea esportazione di merci unionali può essere autorizzato soltanto se le stesse sono destinate a essere reimportate tal quali e destinate alle seguenti finalità: “come campioni, per studio, per visionatura, per esperimento, per collaudo, per tentarne la vendita, per manifestazioni culturali, fieristiche, artistiche, sportive, tecniche, scientifiche, per turismo, spettacoli, esclusi quelli cinematografici, per pascolo, per riproduzione nonché per altre similari esigenze”. Sebbene l’art. 72 consenta ancora agli operatori di inviare merci all’estero per il tempo necessario a raggiungere gli scopi per cui sono state esportate, lo stesso ha espunto la possibilità di impiegarle nell’esecuzione di lavori o nella produzione di beni, ponendo alcuni interrogativi per quei macchinari temporaneamente esportati per fini industriali. Allo scopo di evitare un uso distorto dell’istituto, il comma 2 precisa che le merci possono rimanere vincolate al regime di temporanea esportazione per il tempo necessario a raggiungere la finalità per cui sono state esportate, di durata massima di 36 mesi, eventualmente prorogabile su richiesta motivata dell'interessato. Provviste (e dotazioni) di bordo L’art. 252 TULD, recante la disciplina delle provviste di bordo, viene sostituito dall’art. 74 delle nuove disposizioni nazionali complementari al CDU. In particolare, l’art. 74 prevede, al comma 1, che l’approvvigionamento di aeromobili e di navi consiste nella fornitura di provviste e dotazioni di bordo. Le provviste sono definite dal successivo secondo comma come le merci destinate a essere consumate a bordo per assicurare: a) il soddisfacimento delle normali esigenze di consumo dell’equipaggio e dei passeggeri; b) l’alimentazione degli organi di propulsione e il funzionamento dei macchinari e degli apparati di bordo; c) la riparazione e la manutenzione della nave e dell’aeromobile, comprese le relative dotazioni di bordo; d) la conservazione, la lavorazione e la confezione a bordo delle merci trasportate. Le dotazioni di bordo, invece, si riferiscono a macchinari, attrezzi, parti di ricambio, strumenti, mezzi di salvataggio, arredi e altri oggetti utilizzabili più volte, destinati a ornamento del mezzo di trasporto. Per le provviste di bordo non opera più la presunzione di “nazionalità”, ma, ai sensi del quarto comma, è necessaria una dichiarazione di esportazione quale prova dell’avvenuto imbarco, come previsto dalla normativa doganale unionale. Le sanzioni amministrative Le nuove disposizioni nazionali complementari al CDU hanno, finalmente, rimodulato le sanzioni amministrative applicabili in materia doganale, superando le criticità del previgente art. 303 TULD. Tale norma prevedeva un sistema “a scaglioni”, che consentiva l’irrogazione di sanzioni di importo spesso eccessivamente elevato rispetto all’ammontare dei diritti evasi, in grave violazione del principio europeo di proporzionalità. La Corte di Giustizia ha, in numerose occasioni, precisato che le sanzioni irrogate dall’Agenzia delle Dogane devono rispettare il principio di proporzionalità, in forza del quale non devono eccedere quanto necessario per conseguire gli obiettivi e devono tenere conto della natura e della gravità dell’infrazione commessa (Corte Giust., 23 novembre 2023, C-653/22; in tal senso, anche Corte Giust., 8 giugno 2023, C‑640/21; Corte Giust., 17 maggio 2023, C-418/22; Corte Giust., 26 gennaio 2023, C-640/21; Corte Giust., 13 ottobre 2022, C-1/21; Corte Giust., 27 gennaio 2022, C-788/19; Corte Giust., 4 marzo 2020, C-655/18). La formulazione dell’art. 303 TULD ha generato numerosi contenziosi, nell’ambito dei quali la Corte di cassazione ha disapplicato tale norma, in quanto palesemente sproporzionata, affermando l’importante principio di diritto secondo cui le modalità di quantificazione delle sanzioni previste dall’art. 303 TULD eccedono il limite necessario per assicurare l'esatta riscossione dell'imposta ed evitare l’evasione dei dazi doganali, attesa la misura fissa del minimo e l'impossibilità di adeguare le sanzioni alle circostanze specifiche del singolo caso, con la conseguenza che le stesse devono essere disapplicate in quanto contrarie al diritto europeo, così come interpretato dalla Corte di Giustizia (Cass., sez. V, 13 luglio 2023, n. 20058; Cass., sez. V, 11 maggio 2022, n. 14908). In applicazione di tali principi, l’art. 96 (rubricato Sanzioni amministrative) abbatte notevolmente le soglie sanzionatorie, prevedendo, al comma 1, che “è punito con la sanzione amministrativa dal 100 per cento al 200 per cento dei diritti di confine dovuti, e comunque in misura non inferiore a euro 2.000, e, per le violazioni di cui all’articolo 79, in misura non inferiore a euro 1.000, chiunque commette le violazioni di cui agli articoli da 78 a 83, salvo che, alternativamente: a) ricorra una delle circostanze aggravanti di cui all’articolo 88, comma 2, lettere da a) a d); b) l’ammontare di almeno uno dei diritti di confine dovuti o indebitamente percepiti, distintamente considerati, ovvero dei diritti di confine indebitamente richiesti in restituzione, sia superiore a euro 10.000”. La nuova disciplina sanzionatoria, pertanto, prevede sanzioni di natura penale e di natura amministrativa. Qualora non sussistano le circostanze di cui all’art. 88, comma 2, lettere da a) a d) - fatto commesso da persona a mano armata, da tre o più autori, fatto connesso ad altro delitto contro la fede pubblica o contro la Pubblica Amministrazione, fatto commesso da un associato per commettere delitti di contrabbando - o qualora l’ammontare di nessuno dei diritti di confine dovuti superi i 10.000 euro, la sottrazione dei diritti di confine dovuti ha rilevanza esclusivamente amministrativa. Qualora invece ricorrano le circostanze indicate o l’ammontare di almeno uno dei diritti di confine dovuti sia superiore a 10.000 euro, il fatto ha una potenziale rilevanza penale, la cui valutazione, sotto il profilo soggettivo, è rimessa all’Autorità giudiziaria. Qualora il Pubblico Ministero ritenga sussistente l’elemento soggettivo del dolo, tratterrà presso di sé il fascicolo, iscrivendo un procedimento penale per il reato di contrabbando; in caso contrario, qualora non sia stata ravvisata una condotta dolosa, gli atti saranno restituiti all’Agenzia delle Dogane, la quale procederà alla contestazione della sanzione amministrativa, compresa tra l’80 e il 150% dei diritti di confine (art. 96, comma 14). Un’importante conseguenza della derubricazione della sottrazione dei diritti di confine da reato di contrabbando a violazione amministrativa è la non applicabilità della confisca (prevista - invece - come obbligatoria nei casi di contrabbando). Il comma 2 dell’art. 96 introduce una specifica ipotesi di attenuazione della sanzione, prevedendo che la sanzione di cui al comma 1 è ridotta di 1/3 quando i maggiori diritti di confine dovuti sono inferiori al 3% di quelli dichiarati. Non si applica nessuna sanzione, invece se l'ammontare dei diritti di confine complessivamente dichiarati è pari o superiore a quelli complessivamente accertati. Molto rilevanti sono le previsioni del quarto comma dell’art. 96, che risolvono in senso conforme alle indicazioni fornite dalla Suprema Corte l’annoso problema delle contestazioni riguardanti i “singoli”. L’Agenzia delle Dogane, asserendo l’applicabilità, in materia sanzionatoria, dell’art. 198, regolamento CE n. 2454 del 1993 (DAC), rifuso nell’art. 222, regolamento UE n. 2447 del 2015 (regolamento di esecuzione del codice doganale dell’Unione) - in forza dei quali “qualora una dichiarazione in dogana comporti più articoli le indicazioni relative a ciascun articolo sono considerate costituire una dichiarazione separata” - ha sempre ritenuto che ogni singolo, pur contenuto in un’unica bolletta doganale, costituirebbe una dichiarazione a sé stante, da considerarsi separatamente ai fini del calcolo delle sanzioni dovute. Tale impostazione ha condotto, in casi in cui la differenza daziaria complessiva era del tutto irrisoria, all’irrogazione di sanzioni irragionevolmente gravose. Al riguardo, la stessa Corte di Cassazione (Cass., 12 novembre 2020, n. 25509) aveva chiarito che, in presenza di una dichiarazione che includa più partite di merci, le norme sanzionatorie devono essere applicate in modo tale da non condurre a risultati eccedenti la necessità di irrogare una sanzione adeguatamente afflittiva e dissuasiva per il contribuente. In applicazione di tali principi, la nuova disposizione prevede che “quando nella dichiarazione non sono indicati in maniera esatta e completa tutti gli elementi prescritti per il compimento dei controlli e l'ammontare dei diritti di confine complessivamente dichiarati è pari o superiore a quelli complessivamente accertati, in luogo della sanzione di cui al comma 1 si applica la sanzione nella misura da euro 150 a euro 1.000; in presenza di più articoli, tale sanzione si applica una sola volta”, imponendo l’applicazione di una sola sanzione, calcolata sull’importo complessivamente dovuto in base all’accertamento, anche in presenza di più “singoli”. Trova conferma, infine, il principio (già sancito dall’art. 20, comma 4, legge n. 449/1997) in forza del quale non si applicano le sanzioni amministrative in tutti i casi in cui la revisione della dichiarazione di cui all’art. 42 è avviata su istanza del dichiarante, ai sensi art. 173, par. 3 del CDU. Sugli eventuali maggiori diritti di confine sono dovuti gli interessi di cui all'art. 49, qualora l'istanza di revisione della dichiarazione sia presentata oltre novanta giorni dopo lo svincolo delle merci cui detta dichiarazione si riferisce (art. 96, comma 13). Il reato di contrabbando Le nuove disposizioni nazionali complementari al CDU, con l’obiettivo di razionalizzare la disciplina previgente, prevedono due fattispecie generali di contrabbando: - il contrabbando per omessa dichiarazione (art. 78), e - il contrabbando per dichiarazione infedele (art. 79). Contrabbando per omessa dichiarazione L’art. 78 disciplina il contrabbando per omessa dichiarazione, prevedendo la multa dal 100 al 200 per cento dei diritti di confine dovuti, per chiunque, omettendo di presentare la dichiarazione doganale: a) introduce, fa circolare nel territorio doganale ovvero sottrae alla vigilanza doganale, in qualunque modo e a qualunque titolo, merci non unionali; b) fa uscire a qualunque titolo dal territorio doganale merci unionali. La medesima sanzione si applica al detentore di merci non unionali, nel caso in cui rifiuti o non sia in grado di dimostrarne la legittima provenienza. Contrabbando per dichiarazione infedele L’art. 79 disciplina il contrabbando per dichiarazione infedele stabilendo che chiunque dichiara qualità, quantità, origine e valore delle merci, nonché ogni altro elemento occorrente per l'applicazione della tariffa e per la liquidazione dei diritti in modo non corrispondente all’accertato è punito con la multa dal 100 al 200 per cento dei diritti di confine dovuti o dei diritti indebitamente percepiti o indebitamente richiesti in restituzione (tra i quali deve essere ricompresa, ai sensi dell’art. 27, anche l’IVA all’importazione) Gli articoli successivi disciplinano ulteriori specifiche ipotesi di contrabbando: nel movimento delle merci marittimo, aereo e nei laghi di confine (art. 80); per indebito uso di merci importate con riduzione totale o parziale dei diritti (art. 81); nell'esportazione di merci ammesse a restituzione di diritti (art. 82); nell’esportazione temporanea e nei regimi di uso particolare e di perfezionamento (art. 83); di tabacchi lavorati (articoli da 84 a 86). Particolarmente rilevante è l’art. 94, che impone, in tutti i casi di contrabbando, la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l'oggetto ovvero il prodotto o il profitto. Qualora non sia possibile procedere alla confisca di tali cose, è ordinata la confisca di somme di denaro, beni e altre utilità per un valore equivalente, di cui il condannato ha la disponibilità, anche per interposta persona. La medesima norma assoggetta a confisca i mezzi di trasporto, a chiunque appartenenti, che risultino adattati allo stivaggio fraudolento di merci ovvero contengano accorgimenti idonei a maggiorarne la capacità di carico o l'autonomia, in difformità delle caratteristiche costruttive omologate, o che siano impiegati in violazione alle norme concernenti la circolazione o la navigazione e la sicurezza in mare.