Con la risposta n. 194 dell'8 ottobre 2024, l'Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito alla rilevanza territoriale IVA in Italia nel caso di cessione di uno stock di beni sito in un magazzino italiano tra società estere extra–UE nell'ambito di un'operazione aziendale. L'art. 19 della Direttiva n. 2006/112/CE, in cui è stato rifuso l'art. 5 n. 8 della Direttiva n. 77/388/CEE, prevede che "In caso di trasferimento a titolo oneroso o gratuito o sotto forma di conferimento a una società di una universalità totale o parziale di beni, gli Stati membri possono considerare che non è avvenuta alcuna cessione di beni e che il beneficiario succede al cedente". La norma in commento, dunque, conferisce agli Stati membri UE la facoltà di prevedere l'irrilevanza, ai fini IVA, delle operazioni straordinarie attraverso cui la società dante causa trasferisce all'avente causa il complesso dei rapporti attivi e passivi di cui ha la titolarità, realizzando una continuità dell'attività aziendale. La Corte di Giustizia, nella sentenza 10 novembre 2011, C-444/2010, ha stabilito che "è proprio alla luce del contesto dell'art. 5 n. 8 della sesta direttiva e dello scopo perseguito da quest'ultima che la Corte ha ritenuto che la predetta disposizione è diretta a consentire agli Stati membri di agevolare i trasferimenti di imprese o di parti di imprese, semplificandoli ed evitando di gravare la tesoreria del beneficiario di un onere fiscale smisurato, che sarebbe, in ogni caso, recuperato ulteriormente mediante detrazione dell'Iva versata a monte. [...] La regola della non avvenuta cessione enunciata all'art. 5, n. 8, della stessa direttiva costituisce una nozione autonoma del diritto comunitario che mira a evitare divergenze nell'applicazione da uno Stato membro all'altro del sistema dell'Iva" (punto 33). L'Italia ha recepito l'art. 19 sopra citato nell'art. 2, comma 3, lett. b) e f) del DPR 633/1972, secondo cui: "Non sono considerate cessioni di beni: [...] b) le cessioni e i conferimenti in società o altri enti, compresi i consorzi e le associazioni o altre organizzazioni, che hanno per oggetto aziende o rami di azienda; [...] f) i passaggi di beni in dipendenza di fusioni, scissioni o trasformazioni di società e di analoghe operazioni poste in essere da altri enti". La nozione di azienda rilevante ai fini in esame coincide con quella prevista dalla disciplina civilistica. L'art. 2555 c.c. la qualifica come "il complesso dei beni organizzato dell'imprenditore per l'esercizio dell'impresa". La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con la sentenza "Zita Models" C-497/2001, ha affermato che "il trasferimento a titolo oneroso o gratuito o sotto forma di conferimento a una società di una universalità totale o parziale di beni deve essere interpretata nel senso che in essa rientra il trasferimento di un'azienda o di una parte autonoma di un'impresa, compresi gli elementi materiali e, eventualmente, immateriali che, complessivamente, costituiscono un'impresa, o una parte di impresa idonea a svolgere un'attività economica autonoma, ma non vi rientra la mera cessione di beni quale la vendita di uno stock di prodotti" (punto 40). Per distinguere una cessione d'azienda da una mera cessione di beni, la Corte di Cassazione, recependo i principi elaborati dalla CGUE, ha chiarito che si ha cessione d'azienda quando oggetto del trasferimento è un complesso organico unitariamente considerato, per il quale emerga ex ante la complessiva attitudine anche solo potenziale all'esercizio di impresa (cfr. Cass., n. 13580/2007; Cass. n. 9162/2010; Cass. n. 9575/2016; Cass. n. 33495/2018). In proposito, l'Amministrazione finanziaria ha chiarito, altresì, che il riferimento al concetto di azienda va inteso in senso ampio, comprensivo cioè anche delle cessioni di complessi aziendali relativi a singoli rami d'impresa ("La cessione deve riguardare l'azienda o il complesso aziendale nel suo insieme, quindi quale universitas di beni materiali, immateriali e di rapporti giuridico economici suscettibili di consentire l'esercizio dell'attività di impresa e non i singoli beni che compongono l'azienda stessa" (cfr. Circolare Ministero delle Finanze n. 320/1997). Giova evidenziare, ai fini che qui interessano, che la norma unionale richiamata postula che il complesso aziendale oggetto del trasferimento in conseguenza di una operazione straordinaria sia situato nel territorio di uno Stato membro e che tale Stato abbia optato per l'introduzione del regime di esclusione IVA (cfr. risposta a interpello n. 637 del 2021). Qualora lo Stato si sia avvalso di tale opzione, il trattamento da riservare ai fini IVA al trasferimento del complesso aziendale è condizionato al fatto che si siano verificati i presupposti oggettivo, soggettivo e territoriale ai quali è subordinata l'applicazione dell'imposta. In particolare, la corretta verifica del requisito della territorialità implica che la norma sia applicata da ciascuno Stato membro con riferimento alle operazioni che abbiano per oggetto il trasferimento di una universalità totale o parziale di beni esistente nello Stato stesso. Pertanto, se l'operazione societaria è una cessione di ramo d'azienda, detta operazione interessa il territorio dello Stato solo per i beni ivi esistenti, inclusi nel trasferimento d'azienda, che sono delle rimanenze di magazzino. Nel caso di specie le parti sono infatti due soggetti passivi IVA stabiliti in un Paese extra-UE, e la cessione ha per oggetto un complesso aziendale situato proprio in detto Paese extra-UE. Non è individuabile, pertanto, in Italia, un complesso aziendale ai sensi dell'art. 19 della Direttiva IVA; conseguentemente, in relazione ai beni presenti in Italia non potrà trovare applicazione il regime di neutralità ex art. 2, comma 3, lett. b), DPR 633/1972. In tal senso, con riferimento alla disposizione di cui alla lettera b), l'Amministrazione finanziaria non ha riconosciuto la neutralità ai fini IVA al trasferimento di alcuni beni allocati in Italia, in quanto facenti parte (come nel caso di specie) di un complesso aziendale ceduto fuori dall'UE (cfr. risposta a interpello n. 637 del 2021). La circostanza che la società fosse localizzata fuori dal territorio unionale ha, infatti, precluso la possibilità di considerare ricompreso nel concetto di universitas un bene situato in un Paese diverso da quello di localizzazione del restante compendio aziendale.