È indubbio che negli ultimi anni il buono pasto/ticket restaurant è diventato un elemento retributivo in natura che entra a far parte dei pacchetti di “total reward” dei lavoratori. Il beneficio, infatti, dell’esenzione fiscale e previdenziale, entro i limiti previsti dal TUIR, e la possibile spendibilità per l’acquisto di beni alimentari fa sì che tale servizio sostitutivo mensa sia fortemente richiesto dai lavoratori ma anche valutato dalle aziende in un’ottica di incentivazione e risparmio del costo del lavoro. È da tener presente, però, che il buono pasto, seppur come forma di retribuzione in natura, deve essere attentamente valutato per l’eventuale incidenza in termini di retribuzione indiretta e di TFR. In particolare, la Cassazione, con la recente sentenza n. 25840/2024, ha affermato il principio secondo cui i buoni pasto regolarmente forniti durante il periodo lavorativo, in quanto trattandosi di un beneficio economico, non possono essere esclusi dalla valorizzazione della retribuzione spettante al lavoratore durante le ferie. Norme fiscali di riferimento L’art. 51, co. 2, del TUIR, elenca quei particolari elementi per i quali il legislatore prevede l’esenzione fiscale totale o parziale, tra i quali, alla lett. c), fa rientrare le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi; le prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto fino all'importo complessivo giornaliero di euro 4, aumentato a euro 8 nel caso in cui le stesse siano rese in forma elettronica. Con particolare riferimento ai buoni pasto, è utile ricordare che la normativa di natura fiscale va letta e interpreta con le disposizioni dell’art. 131 del D.Lgs. n. 36/2023 e relativo Allegato II.17 (con l’art. 226, c. 3, lett. e), del D.Lgs. n. 36/2023 è stato abrogato il D.M. n. 122/2017). In particolare, i buoni pasto: - devono consentire al titolare di ricevere un servizio sostitutivo di mensa di importo pari al valore facciale del buono pasto; - sono utilizzati esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempo pieno o parziale, anche qualora l'orario di lavoro non preveda una pausa per il pasto, nonché dai soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato; - non sono cedibili, né cumulabili oltre il limite di 8 buoni, né commercializzabili o convertibili in denaro e sono utilizzabili solo dal titolare; - sono utilizzabili esclusivamente per l'intero valore facciale. Per quanto riguarda i buoni in forma cartacea, devono riportare: - il codice fiscale o la ragione sociale del datore di lavoro; - la ragione sociale e il codice fiscale della società di emissione; - il valore facciale espresso in valuta corrente; - il termine temporale di utilizzo; - uno spazio riservato alla apposizione della data di utilizzo, della firma del titolare e del timbro dell'esercizio convenzionato presso il quale il buono pasto viene utilizzato; - la dicitura: “Il buono pasto non è cedibile, né cumulabile oltre il limite di otto buoni, né commercializzabile o convertibile in denaro; può essere utilizzato solo se datato e sottoscritto dal titolare”. Per quanto riguarda, invece, i buoni pasto elettronici: - devono consentire l’associazione elettronica del buono pasto in fase di utilizzo con la data di utilizzo e con i dati identificativi dell'esercizio convenzionato presso il quale il medesimo è utilizzato; - devono riportare un numero o un codice identificativo riconducibile al titolare stesso. Per quanto riguarda la messa a disposizione od offerta, pare utile ricordare che l’Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 28/E/2016 (punto 2.5.2), ha ricordato che … l’erogazione - al pari del buono pasto - dovrà essere rivolta alla generalità dei dipendenti o a categorie omogenee di essi, secondo le precisazioni fornite nei paragrafi precedenti (cfr. circolare n. 326/E del 1997; circolare n. 188/E del 1998). Conseguentemente l’eventuale messa a disposizione dei buoni pasto solo ad alcuni lavoratori rappresenta un trattamento ad personam che supera l’esenzione prevista per legge, con la conseguenza che il valore nominale del buono pasto deve considerarsi come retribuzione imponibile nel suo intero valore da un punto di vista previdenziale e fiscale sia per il lavoratore che per il datore di lavoro. Effetti dell’erogazione dei buoni pasto ai fini del TFR Ai sensi dell’art. 2120 del Codice civile, salvo diversa previsione dei contratti collettivi, la retribuzione annua, ai fini del comma precedente, comprende tutte le somme, compreso l'equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese. La formulazione utilizzata richiama quanto previsto dall’art. 51 ovvero somme e valori e un ruolo centrale alla contrattazione collettiva (nazionale o aziendale), la quale è l’unica “fonte” ulteriore alla legge che può prevedere o escludere determinati elementi retributivi e non dal computo ai fini del TFR. Secondo l’orientamento prevalente della Cassazione, ormai consolidato, le prestazioni in natura erogate a titolo non occasionale si computano nella retribuzione utile al calcolo del TFR se non diversamente stabilito dalla contrattazione collettiva. Su tale aspetto, si segnala che recentemente la Cassazione, con l’ordinanza n. 8090/2024, ha affermato il principio secondo cui il servizio mensa o l’indennità sostitutiva non assumono natura retributiva, con la conseguenza che solo la legge o la contrattazione collettiva possono considerarli quali elementi imponibili ai fini della retribuzione utile per il calcolo del TFR. Secondo la Cassazione: - il valore del servizio mensa e l'importo della prestazione sostitutiva percepita da chi non usufruisce del servizio aziendale non fanno parte della retribuzione a nessun effetto attinente ad istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro; - la contrattazione collettiva è libera di prevedere che il pasto o l'indennità sostitutiva dello stesso assumano valore retributivo: solo in tale caso dette indennità sono computabili ai fini del trattamento di fine rapporto. Effetti sulla valorizzazione delle ferie Per quanto riguarda l’impatto in termini di valorizzazione delle ferie del buono pasto, si segnala che recentemente la Corte di Cassazione ha stabilito (sentenza n. 25840/2024) che, durante le ferie, il lavoratore deve ricevere lo stesso compenso che percepisce mentre lavora, inclusi i benefit e le indennità. In particolare, la Corte ha affermato che il diritto alle ferie retribuite, costituzionalmente garantito, ha la finalità di garantire un reale riposo al lavoratore, senza che lo stesso debba preoccuparsi di una possibile diminuzione della sua retribuzione collegata a eventuali indennità o altri elementi fissati in base all’attività effettivamente svolta. Nel confermare una sentenza della Corte d’Appello, che aveva dato ragione a un lavoratore che aveva richiesto differenze retributive per il periodo 2016-2021, in quanto non aveva ricevuto durante le ferie alcuna indennità (perequativa, compensativa e i buoni pasto), che, invece, gli venivano regolarmente riconosciute nei giorni lavorativi, la Cassazione ha sottolineato che il lavoratore ha diritto, durante le ferie, a percepire tutte le voci retributive che compongono il suo stipendio normale. In particolare, la Corte, allineandosi a quanto stabilito dalla Corte di Giustizia UE, secondo la quale l’art. 7 della Direttiva n. 2003/88/CE sancisce il diritto alle ferie annuali retribuite, garantendo che il lavoratore possa godere di un reale riposo, senza subire lo svantaggio di una perdita economica, ha chiarito che tra gli elementi che devono essere inclusi durante le ferie rientrano anche i buoni pasto, qualora regolarmente forniti durante il periodo lavorativo, in quanto, trattandosi di un beneficio economico, non possono essere esclusi dalla busta paga del lavoratore in ferie.