Convenzioni contro le doppie imposizioni: il punto della Cassazione

Dividendi di fonte italiana al test delle Convenzioni contro le doppie imposizioni. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25219 dell'11 ottobre 2018, ha affermato l'importante principio secondo cui le convenzioni internazionali stipulate dall'Italia in materia di imposte sul reddito intendono operare «una ripartizione del potere impositivo tra gli Stati contraenti con riguardo agli ambiti di possibile sovrapposizione della fiscalità» di tali Stati e hanno quindi lo scopo di rendere chiaro e armonizzato il regime fiscale applicabile ai soggetti che operano in ambito transfrontaliero. Il principio indicato dalla Corte può essere declinato alla luce degli obiettivi delle Convenzioni, finalizzate (I) alla tutela degli investitori che operano nel contesto transfrontaliero al fine di evitare/ridurre fenomeni di doppia imposizione giuridica internazionale, e (II) alla contemporanea necessità di evitare che l'applicazione di tali Convenzioni possa determinare casi di «non-tassazione» del reddito transfrontaliero realizzati mediante evasione o abuso delle norme fiscali (e.g. treaty shopping e rule shopping). A tal fine, si può parlare di fenomeni di doppia imposizione giuridica internazionale quando vi sia l'applicazione di imposte comparabili da parte di due (o più) Stati a carico dello stesso contribuente, in relazione allo stesso presupposto impositivo e possibilmente per lo stesso periodo di imposta. In tale contesto, nel caso in cui l'Italia rivesta il ruolo di «Stato della fonte» di un determinato reddito transnazionale, le Convenzioni intendono limitare l'esercizio della potestà impositiva nazionale al fine di alleviare la doppia imposizione giuridica internazionale su tale reddito, che può costituire un pregiudizio allo sviluppo delle relazioni economiche svolte dagli investitori residenti negli Stati coinvolti. Con riferimento ai dividendi di fonte italiana distribuiti a soggetti non residenti e privi di stabile organizzazione in Italia, si ricorda come questi siano soggetti nel territorio dello Stato a ritenuta a titolo d'imposta, operata dalla società che li distribuisce con aliquota del 26%, per effetto del combinato disposto degli artt. 151, 23(1)(b) e 3(2) del Tuir e dell'art. 27(3), dpr 600/1973. Gli stessi risultano soggetti ad imposta anche nello Stato di residenza dell'investitore, ai sensi ed alle condizioni previste dalla normativa fiscale ivi applicabile. Ove il soggetto non residente abbia i requisiti (sia formali che sostanziali, cfr. circolari 6/E/2016 e 1/2018 della Guardia di finanza) richiesti per l'applicazione di una Convenzione contro le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito, la ritenuta applicabile sui dividendi di fonte italiana viene ridotta fino all'aliquota prevista dalla disciplina pattizia, proprio al fine di prevenire/ridurre i fenomeni di doppia imposizione giuridica. Al riguardo, come indicato dalla Suprema corte, il fenomeno della doppia imposizione giuridica trova espressione «per il solo fatto della soggezione del dividendo [di fonte italiana] alla potestà impositiva dell'altro Paese, indipendentemente dall'effettivo pagamento dell'imposta [in tale altro Paese]» (cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 1231 del 29/1/2001). Non può essere negata, quindi, l'applicazione della ritenuta ridotta ai sensi della Convenzione ove lo Stato della residenza esenti il dividendo di fonte italiana dalla locale imposta sul reddito, e.g. per effetto di un regime di pex ivi applicabile. Da un punto di vista «soggettivo» (ovvero relativo all'investitore residente che ritrae i redditi di fonte italiana), tale approccio risulta coerente con le previsioni Ocse relative al concetto di «liability to tax» (par. 8.1 del Comm. all'art. 4 del Modello di Convenzione Ocse 2017). Vale in ogni caso precisare che in sede di applicazione della ritenuta alla fonte, va verificata l'eventuale presenza di una «subject-to-tax clause» nella specifica convenzione, per effetto della quale il dividendo risulta sottratto alla piena potestà impositiva dell'Italia (Stato della fonte) soltanto a condizione che tale reddito sia effettivamente assoggettato a imposta nello Stato di residenza dell'investitore. Una clausola di tale natura non è generalmente prevista nelle Convenzioni stipulate dall'Italia, ma può essere riscontrata ad esempio - anche indirettamente e nel contesto normativo precedente alla riforma del Tuir - nelle Convenzioni stipulate con Francia (1989; art. 15 del protocollo) e Paesi Bassi (1990; art. 5 del protocollo). Inoltre, allorché sarà completato il processo di ratifica da parte dell'Italia (così come degli Stati sottoscrittori compresi nel treaty network di quest'ultima) della Multilateral Convention sottoscritta in data 7/6/2017, andrà verificata la presenza di ulteriori previsioni specificatamente riservate ai dividendi transfrontalieri, e.g. in materia di Dividend transfer transactions (art. 8 della Mli, per il quale ad oggi l'Italia ha espresso l'intenzione di non adottare quanto ivi proposto).

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