Enti del terzo settore e soci onorari: come evitare problemi di “democraticità” col Fisco

La riforma del terzo settore rappresenta un passo in avanti molto importante nella disciplina dei c.d. enti no profit. Prima dell’ultimo intervento normativo, il Codice civile conteneva poche disposizioni aventi ad oggetto la disciplina degli enti associativi. Nessuna disposizione prevedeva specificamente, ad esempio, l’obbligo di redazione ed approvazione del bilancio di esercizio. Il D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117, emanato a seguito dell’approvazione della legge delega 6 giugno 2016, n. 106, ha dato concreta attuazione alla riforma del Terzo settore. Il decreto ha così fornito una disciplina organica e puntuale dei predetti enti in modo da supplire al “vuoto normativo”. Fino all’approvazione del provvedimento, l’interprete doveva confrontarsi con un sistema normativo estremamente “frammentato” le cui principali disposizioni riguardavano soprattutto l’ambito fiscale. Ciò in quanto il legislatore ha mostrato particolare attenzione per questa categoria di soggetti in ragione degli innumerevoli benefici fiscali che sono stati concessi soprattutto negli ultimi anni. In molti casi sussisteva un enorme interesse a qualificarsi come enti del Terzo settore al solo fine di ottenere vantaggi fiscali e la riduzione delle imposte. Il legislatore ha aumentato la sua attenzione per contrastare con maggiore efficacia i comportamenti irregolari e le frodi. Principio di democraticità Anche dopo l’approvazione della riforma, la struttura degli enti del Terzo settore deve essere democratica. Tutti gli associati devono avere eguali diritti ed obblighi. A tal proposito può essere interessante esaminare l’indicazione di cui all’art. 24, comma 1, D.Lgs. n. 117/2017, avente ad oggetto le regole di “funzionamento” dell’assemblea dei soci. La disposizione prevede che “nell’assemblea delle associazioni, riconosciute o non riconosciute, del Terzo settore hanno diritto di voto tutti coloro che sono iscritti da almeno tre mesi nel libro degli associati, salvo che l’atto costitutivo o lo statuto non dispongano diversamente”. Questa indicazione è fornita dal decreto legislativo in rassegna. Non possono sussistere dubbi sulla democraticità della stessa, ma possono essere tratti degli spunti utili, più in generale, per individuare la portata o il perimetro di tale principio di democraticità. È semplicistico affermare che democraticità vuol significare attribuire a tutti gli associati eguali diritti ed obblighi. L’eguaglianza può e deve essere concretamente attuata anche trattando in maniera diversa situazioni diverse. Questo principio è posto alla base della clausola statutaria in commento. La possibilità di votare solo dopo il decorso di tre mesi dall’acquisizione della qualifica di associato riguarda, in realtà, ogni soggetto e la circostanza è già di per sé sufficiente per considerare osservato il principio di democraticità. In buona sostanza tutti (e non alcuni) gli associati più recenti non potranno votare se non saranno passati almeno tre mesi dal loro ingresso nell’associazione. Invece tutti i “vecchi” associati potranno votare. La violazione del principio di democraticità si realizza solo se gli associati che si trovano nella stessa situazione vengono trattati in maniera diversa. Ad esempio, se alcuni dei “vecchi” associati fossero esclusi dal diritto di voto la clausola risulterebbe palesemente antidemocratica. Figure particolari: i soci onorari In molti casi il problema si pone per particolari figure che sono presenti all’interno delle associazioni, soprattutto sportive, come ad esempio i soci onorari. Non è raro il caso in cui gli statuti li escludano dal diritto di voto. In tale ipotesi è molto probabile la contestazione dell’Agenzia delle Entrate. Il socio onorario è una particolare figura che si è distinta in passato, soprattutto con riferimento all’ambito in cui opera l’associazione della quale lo stesso fa parte. Si tratta, ad esempio, degli ex atleti olimpionici che, proprio in virtù del loro passato sportivo, riescono ad “attrarre” numerose persone che sono invogliate ad iscriversi all’associazione sportiva. Si tratta, quindi, di figure che hanno un ruolo ben diverso dagli associati comuni e presenziano soprattutto alle serate di gala organizzate dall’associazione di cui fanno parte o alle premiazioni degli eventi sportivi più importanti. In buona sostanza sono “associati atipici” ai quali non viene attribuito il diritto di voto in quanto, a parte il profilo formale, e all’indicazione “soci onorari” presente all’interno dello statuto, non partecipano “normalmente” alla vita associativa. La mancata attribuzione del diritto di voto è il frutto della particolare posizione. Per non incorrere in possibili contestazioni dell’Agenzia delle Entrate, è più opportuno evitare di descrivere questa particolare tipologia di rapporto indicando all’interno dello statuto la figura del socio onorario. In alternativa può essere inserita nello statuto una clausola dal seguente tenore: “all’attività associativa potranno comunque partecipare particolari figure che si sono distinte in passato, nel corso degli anni, per l’attività sportiva esercitata avendo dato lustro alla nazione con il raggiungimento di risultati sportivi nazionali ed internazionali”. In questo modo l’ente associativo dovrebbe essere al riparo da possibili contestazioni dell’Agenzia delle Entrate.

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