In tema d'imposta di registro, la Cassazione, contrariamente a quanto stabilito dal legislatore nella legge di Bilancio 2019, ha precisato che il nuovo testo dell'articolo 20 del dpr 131/86 non ha portata retroattiva. Di più: la riqualificazione di una serie di atti collegabili tra loro, consente di commisurare l'imposta alla complessiva operazione economica oggettivamente realizzata. È quanto si legge nell'ordinanza n. 362 depositata il 9 gennaio 2019 dalla sezione quinta della Cassazione. L'art. 20, nel testo novellato, prevede che "L'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi", mentre il vecchio testo stabilisce che "L'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente". La Cassazione ritiene che il nuovo testo dell'art. 20 non abbia portata retroattiva in quanto gli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale prevedono che una norma non ha effetto retroattivo, salvo contraria espressa disposizione, assente nel caso di specie. Conseguentemente, gli atti antecedenti alla data di sua entrata in vigore continuano ad essere assoggettati ad imposta di registro secondo la disciplina risultante dalla previgente formulazione dell'art. 20 del d.P.R. 131 del 1986 (Cass. 4589/2018). Osserva la Corte che ai sensi dell'art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, vecchio testo (applicabile ratione temporis), la cui rubrica si intitola "Interpretazione degli atti", "l'imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente". Ebbene, secondo la Suprema Corte (Cass. 15 marzo 2017, n. 6758; 8 giugno 2016, n. 11692), l'art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, nel dettare non una regola antielusiva ma una regola interpretativa, impone una qualificazione oggettiva degli atti secondo la causa concreta dell'operazione negoziale complessiva, a prescindere dall'eventuale disegno o intento elusivo delle parti e dei singoli motivi soggettivi. Come norma interpretativa, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 è dunque una norma di "qualificazione" degli atti, che non si sovrappone all'autonomia privata dei contribuenti, ma si limita a definirne l'esercizio insieme agli altri canoni legali di ermeneutica negoziale, fra i quali naturalmente non può trascurarsi la comune intenzione delle parti prevista dall'art. 1362 cod. civ. Quest'ultimo elemento però rileva come elemento di qualificazione della complessa operazione economica solo dal punto di vista civilistico, mentre le conseguenze fiscali di quella qualificazione discendono direttamente dalla legge, prescindendo dunque, dalle intenzioni delle parti, quand'anche fossero tutte d'accordo per ottenere un certo risultato dal punto di vista fiscale. La qualificazione interpretativa prescritta dal d.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 ha ad oggetto la causa dell'atto, nella sua dimensione reale, concreta e oggettiva: quando gli atti sono plurimi e funzionalmente collegati, quando cioè la causa tipica di ciascuno è in funzione di un programma negoziale che la trascende, non può rilevare che la causa concreta dell'operazione complessiva, ossia la sintesi degli interessi oggettivati nell'operazione economica (Cass. 12 luglio 2005, n. 14611; 23 novembre 2001, n. 14900) e la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche se mediante una pluralità di pattuizioni tra loro collegate e anche se non contestuali (Cass. 4 febbraio 2015, n. 1955). I criteri indicati dall'art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 non si discostano da quelli generali in tema di interpretazione dei contratti che impongono una interpretazione oggettiva dell'atto alla luce della comune intenzione delle parti, come prescritto dall'art. 1362 cod. civ. E' l'operazione economica complessivamente posta in essere che deve, rivelare l'oggettiva, concreta e comune intenzione delle parti. In tal modo l'interpretazione aderente ai canoni legali ermeneutici restituisce dunque l'operazione negoziale nella sua realtà, scongiurando il rischio di un'alterazione della volontà privata (Cass. 15 marzo 2017, n. 6758, cit.). L'imposta di registro va dunque correlata alla causa concreta dell'operazione, in ossequio al principio costituzionale di capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost. Un'interpretazione atomistica dell'operazione negoziale non è in grado di misurare il reale movimento di ricchezza, che si rivela invece soltanto nella dimensione complessiva dell'affare. In questa prospettiva, il giudice può e deve verificare la qualificazione negoziale operata dall'ufficio finanziario circa l'osservanza dei criteri legali di interpretazione, i quali vanno riferiti alle circostanze concrete della sequenza di atti.