La soglia che rende il mancato versamento Iva penalmente rilevante va verificata in base alla dichiarazione annuale presentata dal contribuente. Il calcolo del quantum non deve tradursi in accertamenti sostanziali sulla corrispondenza al vero delle voci attive e passive indicate nel modello: in caso di falsificazione dei dati, infatti, scattano le più gravi incriminazioni previste per le dichiarazioni infedeli o fraudolente. È quanto affermato dalla 3° sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 2563 depositata il 21 gennaio 2019. IL FATTO La vicenda vedeva coinvolto un imprenditore siciliano, condannato a quattro mesi di reclusione nel 2016 dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto per il reato previsto dall'articolo 10-ter del dlgs n. 74/2000. L'Iva annuale dichiarata ma non versata per l'anno 2008 ammontava a circa 260 mila euro. Secondo il contribuente, tuttavia, per il medesimo periodo d'imposta l'impresa aveva diritto a un credito fiscale di 15 mila euro. Il quale, se detratto dal debito Iva, avrebbe portato quest'ultimo al di sotto della soglia dei 250 mila euro fissata dalla norma penale. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE A parere degli Ermellini, tuttavia, la difesa non coglie nel segno. La quantificazione dell'imposta evasa «deve essere effettuata in base alla dichiarazione», per come esposta nei righi del modello annuale dedicati all'importo a debito. Non è rilevante l'esistenza di eventuali crediti tributari ai quali l'imputato ritiene di avere diritto. Tanto più se, come già affermato dalla Corte d'appello di Messina nella sentenza di secondo grado, tali poste «non sono state evidenziate nella stessa dichiarazione e pertanto non possono essere in alcun modo delibate, in assenza di specifica e attendibile documentazione di supporto». Eventuali manomissioni agli importi evidenziati nella dichiarazione Iva, conclude la suprema corte, costituiranno semmai oggetto di altri capi d'accusa, per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (articolo 2 del dlgs n. 74/2000), altri artifici (art. 3) o dichiarazione infedele (art. 4). Pur rigettando il ricorso, la Cassazione annulla comunque la sentenza impugnata perché il reato si è estinto in prescrizione il 21 novembre 2017.