Ai fini del sequestro preventivo per il reato di omesso versamento Iva non è necessaria la preliminare ricerca di disponibilità in capo alla società, se la difesa ha evidenziato che l’inadempimento è stato causato dallo stato di crisi di liquidità in cui si trovava l’ente. È corretto, infatti, ritenere che in simili ipotesi, la società non avesse alcuna disponibilità da sequestrare con la conseguenza che è corretto sequestrare i beni del legale rappresentante. A fornire questa interpretazione è la Corte di Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 3591 del 24 gennaio 2019. IL FATTO Nei confronti dei beni personali della legale rappresentante di una società, veniva disposto il sequestro preventivo per equivalente per il reato di omesso versamento Iva. Il provvedimento veniva impugnato e il Tribunale, in sede di riesame, accoglieva il ricorso dell’indagata rilevando che nella specie era completamente mancata la verifica dell’eventuale disponibilità in capo alla società. Il sequestro era stato disposto sui beni dell’amministratore senza l’indicazione dei motivi per i quali non fosse stato ritenuto possibile adottare la misura cautelare nei confronti dell’ente. Il Procuratore ricorreva così in Cassazione deducendo, in estrema sintesi, un’errata applicazione della norma. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE I giudici di legittimità hanno ricordato che in linea di principio per i reati tributari il legale rappresentante, con il proprio comportamento, ha portato beneficio innanzitutto alla società. Ne consegue che ai fini cautelari, il sequestro preventivo può essere disposto sui beni della persona fisica quando all’esito di una valutazione degli atti sulla condizione patrimoniale dell’ente, sia risultato impossibile il sequestro diretto del profitto del reato. La verifica, però, di tale impossibilità non deve comportare la preventiva infruttuosa escussione del patrimonio della società, essendo sufficiente la esistenza di indicazioni che inducano a ritenere insussistente il citato patrimonio. Nella specie, proprio dalla difesa dell’indagata era emersa l’assenza di qualunque disponibilità: al fine di giustificare l’omesso versamento Iva, infatti, era stato chiaramente affermato che la società versava in una gravissima crisi aziendale e di liquidità. Tanto più che l’ente era stato innanzitutto posto in liquidazione e poi era stata richiesta l’ammissione al concordato preventivo. Si tratta di elementi sintomatici dell’assenza di disponibilità e pertanto della conseguente inutilità al tentativo di sequestro in capo alla società. Peraltro, la Cassazione ha affermato che in simili ipotesi, sarà l’indagato inciso della misura cautelare, a dover indicare in sede di impugnazione l’esistenza e la consistenza di beni patrimoniali riferibili alla società. La decisione è particolarmente interessante poiché evidenzia come potrebbe influire la crisi di liquidità sotto un profilo processuale. Infatti, se la crisi è sussistente e quindi la società è priva di disponibilità, è verosimile che il sequestro preventivo nelle more del processo sia rivolto solo nei confronti del legale rappresentante. In caso contrario, ossia che la società ha disponibilità liquide, con riferimento al sequestro sarà incisa la società, ma per quanto riguarda il merito del giudizio, difficilmente potrà ritenersi fondata la difesa che tenti di evidenziare l’impossibilità di adempiere a causa della crisi.