No al sequestro preventivo dell’intera azienda e delle quote sociali che appartengono a una persona estranea al reato, se manca la prova di un nesso di strumentalità tra la società e i reati contestati. Alla base del provvedimento, annullato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5868 del 6 febbraio 2019, il fumus del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale contestata al fratello del ricorrente, accusato di aver “dirottato” verso la società del ricorrente, costituita a ridosso del fallimento, i beni della Srl “decotta”. Per il Tribunale il provvedimento impugnato era del tutto giustificato dall’insieme degli indizi raccolti. Il ricorrente, per salvare l’attività di famiglia, avrebbe distolto tutti i beni della società prossima al crac, in favore della compagine formalmente amministrata dal fratello e dai figli. Un modo per assicurare la continuità aziendale in frode ai creditori, senza lasciare traccia della cessione. Per la Cassazione però, al di là degli indizi, l’unica prova riguardava la distrazione di attrezzature per una somma di poco superiore ai 100 mila euro, mentre non c’erano evidenze della distrazione delle “rimanenze”, che superavano i 2 milioni di euro. Il provvedimento adottato – precisa la Cassazione – sarebbe stato giustificato solo da un nesso di pertinenzialità tra i beni in precedenza utilizzati dalla società fallita e quelli usati dalla società di “comodo”. I giudici ricordano che è legittimo il sequestro preventivo delle quote di una società appartenente ad una persona estranea al reato solo se c’è un nesso di strumentalità tra questi e il reato contestato.