La Corte di Giustizia UE è stata chiamata nella causa C-322/17 per chiarire l’interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 2, e dell’articolo 67 del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. IL FATTO Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia in merito alla decisione con la quale il Ministro della Protezione sociale Irlandese, ha rifiutato di versare al lavoratore prestazioni familiari per una parte del periodo contemplato dalla sua domanda. Il lavoratore è un cittadino rumeno residente in Irlanda dal 2003 padre di due figli minori residenti in Romania. Nel gennaio del 2009, ha chiesto alle autorità irlandesi di beneficiare di prestazioni familiari per i suoi due figli residenti in Romania. L’attività professionale subordinata è stata svolta in Irlanda tra il 2003 e il 2009. In seguito alla cessazione del suo rapporto di lavoro nel 2009, il lavoratore ha percepito una prestazione di disoccupazione a carattere contributivo (2009-2010), poi una prestazione di disoccupazione a carattere non contributivo (aprile 2010-gennaio 2013) e, infine, un’indennità di malattia (2013-2015). Le autorità irlandesi hanno accolto la sua domanda di prestazioni familiari, salvo per quanto riguardava il periodo compreso tra il mese di aprile del 2010 e il mese di gennaio del 2013 in quanto il richiedente, a loro avviso, non soddisfaceva, durante questo periodo, alcuna delle condizioni che gli conferivano il diritto di ricevere prestazioni familiari per i figli residenti in Romania, in quanto non esercitava un’attività professionale subordinata in Irlanda o non vi percepiva una prestazione a carattere contributivo. LA DECISIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE La Corte di Giustizia dell’Unione Europea rileva innanzi tutto che l’articolo 67 del regolamento n. 883/2004 prevede che una persona ha diritto alle prestazioni familiari ai sensi della legislazione dello Stato membro competente, anche per i familiari che risiedono in un altro Stato membro, come se questi ultimi risiedessero nel primo Stato membro. Come risulta dalla formulazione di tale articolo, quest’ultimo, pur facendo riferimento ai diritti riconosciuti a una «persona», non richiede che tale persona disponga di uno status specifico, e quindi, in particolare, dello status di lavoratore subordinato. Non è comunque precisato quale siano i requisiti cui può essere soggetto il diritto di tale persona alle prestazioni familiari, ma rinvia, al riguardo, alla legislazione dello Stato membro competente. Inoltre il regolamento non assoggetta il diritto di ottenere prestazioni familiari per i figli che risiedono in un altro Stato membro alla condizione che il richiedente percepisca prestazioni in denaro a motivo o in conseguenza di un’attività professionale subordinata. Alla luce delle precedenti considerazioni, la Corte conclude che l’ammissibilità di una persona a prestazioni familiari nello Stato membro competente per i figli residenti in un altro Stato membro non richiede che tale persona eserciti un’attività professionale subordinata nel primo Stato membro né che quest’ultimo le versi una prestazione in denaro a motivo o in conseguenza di tale attività.