In tema di imposte sui redditi, le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio sono soggette ad imposizione soltanto se risultino destinate a reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi, mentre non costituiscono reddito imponibile nell’ipotesi in cui tendono a riparare un pregiudizio di natura diversa. Lo ha confermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 3632 del 7 febbraio 2019. IL FATTO Un dipendente di un istituto di credito versava l’IRPEF su somme ricevute dal datore di lavoro a titolo di risarcimento del danno, derivante della perdita di chance conseguente ad alcune irregolarità verificatesi nello svolgimento di un concorso interno per la promozione a funzionario. In seguito, inviava all’Agenzia delle Entrate un’istanza di rimborso dell’imposta versata, in quanto riteneva insussistenti i presupposti per la tassazione di tali somme. Alla predetta richiesta, tuttavia, seguiva un silenzio-rifiuto da parte dell’Amministrazione finanziaria, avverso il quale il contribuente proponeva impugnazione. Le doglianze del contribuente venivano accolte in primo grado dalla Commissione tributaria provinciale. L’appello proposto dell’Ufficio aveva invece un esito sfavorevole per il contribuente. In particolare, i giudici del gravame motivano l’accoglimento ritenendo che la perdita di chance costituisse un’ipotesi di lucro cessante per il danno patrimoniale futuro e che rientrasse nella previsione dell’art. 6 TUIR, secondo il quale, le indennità, anche a titolo risarcitorio, conseguite in sostituzione di redditi, costituiscono redditi della stessa categoria e vanno assoggettate a tassazione. Avverso la predetta pronuncia il contribuente ricorreva in Cassazione, con un unico motivo eccependo la violazione e falsa applicazione della norma citata, nella convinzione che il danno da perdita di chance costituisce un danno emergente e non un lucro cessante. In quanto tale, sarebbe risarcibile indipendentemente da un pregiudizio patrimoniale futuro, non avrebbe natura reddituale e dunque non sarebbe assoggettabile a tassazione. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del contribuente cassando senza rinvio la sentenza di appello. In via preliminare, i giudici di legittimità conformandosi ad un precedente orientamento, chiariscono che la disposizione dell’art. 6 ha portata generale ed è applicabile a tutti i casi di indennità anche risarcitorie, sostitutive della retribuzione. La Suprema Corte, però, precisa che il titolo al risarcimento del danno, connesso alla perdita di chance, non ha natura reddituale poiché consiste nel ristoro del danno emergente dalla perdita di una possibilità attuale. È la chance stessa un’entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un danno attuale e risarcibile qualora si accerti, la ragionevole possibilità della sua esistenza. Nella specie, il giudice del lavoro aveva in precedenza riconosciuto al ricorrente il risarcimento del danno emergente consistente appunto nella perdita delle possibilità ricollegate complessivamente alla progressione di carriera, facendo ricorso per la quantificazione delle somme dovute, al criterio della valutazione equitativa con riferimento al maggior stipendio non conseguito. Tale criterio però, rileva solo ai fini della determinazione del quantum e non è comunque idoneo a mutare il titolo dell’attribuzione, appunto non riconducibile all’art. 6 TUIR perché non ha natura reddituale e non è sostitutiva del reddito non percepito. Di conseguenza, la Corte accoglie il ricorso originario del contribuente avverso il silenzio-rifiuto sull’istanza di rimborso.