M entre prosegue il dibattito parlamentare su quota 100 e gli altri canali di pensionamento prorogati dal dl n. 4 del 2019, è utile ritornare sulla pensione contributiva, evidenziandone i potenziali rischi e le possibili soluzioni per chi ne beneficerà. La difficile congiuntura economica può produrre, tra i diversi possibili impatti, anche un effetto sul sistema previdenziale sia in termini di sostenibilità che di adeguatezza. Con riferimento al primo aspetto va considerato come uno dei parametri di maggiore significato per valutare l’equilibrio finanziario prospettico è rappresentato dal rapporto tra spesa per le pensioni e Pil, ragion per cui un rallentamento che deprima il prodotto interno lordo amplia il “peso” degli oneri previdenziali. Va poi evidenziato come il metodo di calcolo contributivo che, giova ricordarlo, per effetto della riforma Fornero si applica a tutte le pensioni nel regime INPS con riferimento alla parte riconducibili ai contributi versati dal 2012, rivaluta le pensioni in maturazione sulla base della produttività del sistema economico. Come funziona il sistema di calcolo contributivo Nel metodo di calcolo contributivo la logica è di tipo assicurativa che si basa sul rapporto diretto tra contributi versati e trattamento pensionistico. Nel pratico si opera una vera e propria somma (virtuale) dei contributi versati lungo l’arco della intera vita lavorativa. Annualmente tale somma viene rivalutata in base alla media quinquennale del PIL nominale. Raggiunta l’età pensionabile si converte il montante in rendita moltiplicandolo per gli specifici coefficienti di trasformazione che riflettono ad ogni età pensionabile una diversa “speranza di vita”. Con il contributivo quindi tutti i contributi versati nel corso della vita attiva vengono capitalizzati a un tasso pari all’incremento annuale del Pil e il montante così ottenuto serve a calcolare la rendita mensile. Come sottolineava l’ANIA in un interessante Booklet sulla busta arancione, aver preso in considerazione tutti gli anni di vita attiva (anche quelli iniziali, con livelli minori di retribuzione e contributi) già ha comportato un abbassamento della copertura pensionistica. In aggiunta, il modesto sviluppo economico del Paese sta aggravando la situazione. Gli impatti del PIL Nell’ultimo decennio la crescita del Pil non ha mai superato, in media, l’1 per cento e in alcuni anni, quelli più duri della crisi, è stata addirittura negativa. I contributi previdenziali versati hanno così una bassa redditività. A parità di contributi versati, ogni punto in meno di Pil equivale, dopo 35 anni, a una rendita pensionistica più bassa del 16 per cento. Cosa succede poi nel caso in cui la media del Pil quinquennale risulti negativa? Va ricordato il precedente storico del 2014 in cui, per la prima volta dalla entrata in vigore della riforma Dini, il tasso di rivalutazione dei montanti per il calcolo della pensione è risultato con il segno meno, pari a - 0,998073 per cento. Una “rete di salvataggio” per i montanti contributivi colpiti da rendimenti negativi è stata posta dal decreto n. 65/2015 che prevede che il quoziente non possa mai essere inferiore ad un valore pari all’1 per cento. Età pensionabile Quali sono i requisiti di pensionamento contributivi? I lavoratori per i quali il primo accredito contributivo decorre dal 1° gennaio 1996, possono ottenere la pensione al perfezionamento dei medesimi requisiti anagrafici e contributivi previsti per i lavoratori nel sistema retributivo o misto. Tuttavia, a differenza di costoro, per conseguire il diritto alla pensione di vecchiaia, oltre alla presenza del requisito contributivo di 20 anni e del requisito anagrafico, devono ulteriormente soddisfare il requisito di avere un importo della pensione superiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale. In caso contrario possono accedere al trattamento di vecchiaia al compimento di 70 anni e 7 mesi di età con almeno 5 anni di contribuzione “effettiva” (cioè obbligatoria, volontaria e da riscatto) - con esclusione della contribuzione accreditata figurativamente a qualsiasi titolo - a prescindere dall’importo della pensione. I contributivi possono conseguire poi il trattamento anticipato, sempre a prescindere dall'età anagrafica, al perfezionamento delle medesime anzianità contributive previste per i lavoratori nel sistema retributivo o misto. Chi è nel sistema contributivo, può ottenere poi la pensione anticipata, qualora più favorevole, al compimento di 63 anni, a condizione che risultino versati e accreditati almeno 20 anni di contribuzione “effettiva” e che l’ammontare della prima rata di pensione risulti non inferiore ad un importo soglia mensile pari a 2,8 volte l’importo mensile dell’assegno sociale. Una pensione di importo ridotto impatta allora anche sull’età pensionabile per chi rientra nell’applicazione del metodo contributivo. La diversificazione del rischio previdenziale Diviene importante adottare allora una strategia di diversificazione previdenziale anche con il concorso della previdenza complementare. Quali sono i profili di vantaggio? In primo luogo, si abbina ad una futura pensione legata nella rivalutazione allo sviluppo economico un montante contributivo che beneficia dei rendimenti generati dai mercati finanziari. Va poi ricordato come le forme pensionistiche complementari funzionano a capitalizzazione conferendo la possibilità, contrariamente a quanto previsto per la previdenza di base, di accedere alle anticipazioni (fino al 75 per cento da subito per esigenze sanitarie di particolare gravità , fino al 75 per cento dopo 8 anni di iscrizione alla previdenza complementare per acquisto e ristrutturazione prima casa per sé o per i figli, fino al 30 per cento dopo 8 anni per qualsiasi esigenza) o di modellarne il funzionamento sul “ciclo di vita” lavorativo in caso di dinamiche avverse con i riscatti (p.es in caso di Cassa integrazione e NASpI). Va ancora ricordata la possibilità di usufruire della nuova RITA, forma di riscatto frazionato che può fornire un “reddito finanziario ponte” fino al pensionamento per chi dovesse fuoriuscire dal mercato del lavoro. Da non sottovalutare poi quello che si definisce come “rischio politico”, vale a dire la evoluzione normativa. Aderire alla previdenza complementare calmiera anche questo profilo di aleatorietà.