Con la pubblicazione del modello per la “Domanda di definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti” e l’emanazione della risoluzione n. 21/E del 2019, recante i codici tributo da utilizzare per il versamento delle somme dovute per la definizione (o della prima rata) entro il 31 maggio 2019, i contribuenti (o meglio, i loro consulenti) possono finalmente dare il là alle attività, in attesa che venga messo a disposizione il software per l’invio telematico, momento essenziale per il perfezionamento dell’intera procedura. In ordine ai profili “oggettivi” di estensione della procedura in parola, l’art. 6, comma 1, D.L. n. 119/2018, sulla scorta anche delle precedenti “versioni” della definizione agevolata delle liti fiscali, dispone che oggetto della procedura di “rottamazione” sono le “controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle Entrate, aventi ad oggetto atti impositivi”. In relazione a ciò, le istruzioni al modello di definizione precisano che per “atti impositivi” vanno intesi gli avvisi di accertamento, i provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione, dovendosi escludere dal novero delle controversie definibili quelle aventi ad oggetto atti di mera liquidazione, quali, ad esempio, ruoli e cartelle di pagamento. Ora, però, complice anche una ordinanza della Corte di Cassazione (n. 1158 del 17 gennaio 2019), è possibile fare qualche ulteriore riflessione in merito alla definizione di “atto impositivo” suscettibile di ricadere nello spettro dell’art. 6 del decreto fiscale 2019. In particolar modo, nel prosieguo ci si interrogherà se la definizione in questione possa ricomprendere anche i cd. avvisi bonari ex articoli 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis del D.P.R. n. 633/1972. Si analizzerà, quindi, in maniera molto sintetica, tanto la possibilità di impugnare autonomamente l’avviso bonario quanto le plausibili ipotesi di rottamazione delle liti derivanti dall’impugnazione di cartelle di pagamento gemmate da avvisi bonari, aspetto che si sovrappone, evidentemente, anche al primo. L’impugnabilità degli avvisi bonari A monte della questione in ordine alla (eventuale) possibile definizione delle liti aventi ad oggetto gli avvisi bonari, occorre, in primo luogo, valutare se tali atti siano, innanzitutto, impugnabili. Sul punto, difatti, l’Agenzia delle Entrate e la giurisprudenza tributaria non sono concordi. Tradizionalmente l’Agenzia delle Entrate ha negato la facoltà di impugnare autonomamente le comunicazioni di irregolarità. Infatti, nella risoluzione n. 110/E/2010, in particolare, è stato affermato che gli avvisi bonari non contengono una pretesa impositiva definita; tali avvisi rappresentano invece un mero invito rivolto al contribuente a fornire elementi chiarificatori circa le anomalie riscontrate nelle dichiarazioni, senza che ciò rappresenti esercizio di un potere autoritativo, avverso il quale sarebbe giustificabile un ricorso giurisdizionale. Di diverso avviso è invece la Corte di Cassazione che, ormai pacificamente, ritiene gli avvisi bonari atti impugnabili. Per la Cassazione, infatti, gli avvisi bonari sono pur sempre forieri di una pretesa impositiva compiuta e suscettibile, come tale, di doglianza da parte del contribuente; fermo restando però che il contribuente non è obbligato ad impugnare l’avviso bonario, ma può validamente attendere, prima di adire il giudice tributario, la notifica della successiva cartella (ex multis, Cassazione, n. 7344/2012, n. 15029 e n. 15957 del 2015 e n. 3315/2016). Se, dunque, alla luce della posizione della Cassazione, dell’impugnabilità dell’avviso bonario non pare lecito dubitare oltre, non resta che comprendere se esso costituisca un “atto impositivo”, per cui sarebbe possibile invocare l’art. 6, D.L. n. 119/2018. Il ragionamento, ovviamente, si estende, a pieno titolo, anche alle cartelle di pagamento derivanti proprio dal controllo automatizzato delle dichiarazioni dei redditi. La nozione di “atto impositivo” La nozione di atto impositivo, ai fini della rottamazione delle liti fiscali, è oggetto di differenti visioni, fra l’Agenzia delle Entrate e la giurisprudenza della Cassazione. Ora, che la “condonabilità” delle controversie sia limitata ai soli “atti impositivi” non costituisce certo una novità del D.L. n. 119/2018; essa è, invece, una costante nell’esperienza delle definizioni agevolate delle controversie tributarie “all’italiana” (basti pensare a quanto disposto dall’art. 39 del D.L. n. 98/2011 e dall’art. 16, legge n. 289/2002). Con particolare riferimento ai ruoli emessi a seguito della rettifica delle dichiarazioni (ovvero proprio ai ruoli che seguono, di regola, le comunicazioni di irregolarità ex articoli 36-bis, D.P.R. n. 600/1973, o 54-bis, D.P.R. n. 633/1972), nella circolare n. 48/E del 2011, l’Agenzia delle Entrate ha escluso dal novero delle controversie definibili “le liti fiscali aventi ad oggetto i ruoli emessi per imposte e ritenute indicate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta nelle dichiarazioni presentate, ma non versate”. Nel caso in questione, secondo l’Agenzia, l’avviso bonario o la cartella con cui si provvede al recupero delle imposte dichiarate e non versate, sarebbe un atto di mera riscossione. Discorso diverso, invece, vale per gli atti che, pur se emessi ai sensi degli articoli 36-bis, D.P.R. n. 600/1973, o 54-bis, D.P.R. n. 633/1972, rappresentano lo strumento attraverso cui l’Amministrazione provvede alla rettifica della dichiarazione fiscale (ad esempio riducendo o escludendo l’ammontare di deduzioni e detrazioni). In questo caso, a parere della stessa Agenzia delle Entrate, gli avvisi bonari (o le cartelle di pagamento) rappresentano a pieno titolo “atti impositivi”. Questa posizione è stata, peraltro, sempre confermata dall’Agenzia delle Entrate nei diversi commenti alle varie “versioni” della definizione agevolata delle liti. Non fa eccezione la risposta resa recentemente sul punto, dove si è affermato ancora una volta che “non sono definibili le liti aventi ad oggetto i ruoli emessi per imposte e ritenute indicate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta nelle dichiarazioni presentate, ma non versate”, avendo tali ruoli natura meramente riscossoria e non impositiva. Sulla nozione di atto impositivo, suscettibile di rientrare nell’ambito di applicazione della definizione agevolata delle liti, invece, la Corte di Cassazione ha sempre mostrato una posizione diversa e più “accomodante” verso i contribuenti. Con riferimento alla definizione delle liti del 2002, la Cassazione ha difatti più volte affermato che è “di per sé irrilevante la circostanza che la cartella contenga la liquidazione di imposte dichiarate e non versate, una volta che, da un lato, si tratta del primo atto con cui l’amministrazione ha esercitato la propria pretesa nei confronti del contribuente, e, dall’altro, quest’ultimo ha instaurato una controversia effettiva” (cfr. inter alia, Cassazione n. 14169/2015). In altri termini, per la Cassazione non rileva tanto la circostanza formale che si discuta di imposte dichiarate e non versate; ciò che davvero rileva è che l’oggetto del giudizio sia effettivamente un atto attraverso cui l’Amministrazione finanziaria per la prima volta ha fatto valere nei confronti del contribuente una pretesa tributaria e il giudizio riguardi questioni che coinvolgono la legittimità dell’atto, sotto qualsiasi profilo (procedurale o sostanziale). Da questi principi non si discosta l’ordinanza n. 1158 del 17 gennaio 2019, con la quale la Suprema Corte ha confermato la “condonabilità” della lite relativa ad una cartella di pagamento ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 che costituisca il primo atto notificato al contribuente e che sia stata contestata nel merito. Conclusioni Riportando i concetti sopra compendiati al caso delle liti aventi ad oggetto comunicazioni di irregolarità o cartelle di pagamento da esse derivanti, è allora possibile affermare che: - da un lato, come confermato dalla stessa prassi dell’Agenzia delle Entrate, rientrano senz’altro nel novero degli atti impositivi (come tali “condonabili”) gli avvisi bonariattraverso cui l’Amministrazione rettifichi effettivamente la dichiarazione del contribuente (ad esempio, riducendo o disconoscendo tout court delle variazioni in diminuzione apportate in dichiarazione); - dall’altro lato, nel caso invece di liti relative a comunicazioni di irregolarità aventi ad oggetto somme dichiarate dal contribuente e non versate, o cartelle di pagamento emesse a seguito delle ridette comunicazioni, la domanda di definizione potrà essere efficacemente proposta nella misura in cui nel ricorso introduttivo il contribuente abbia contestato il merito della pretesa del Fisco, ad esempio lamentando l’intervenuta decadenza del potere impositivo, la mancata prova degli elementi che giustificano il quantum preteso o, ancora, l’errata o l’omessa rideterminazione delle sanzioni o eventuali vizi di notifica. È appena il caso di rilevare che, in caso di domanda di definizione su liti relative ad avvisi bonari meramente “liquidatori”, è piuttosto probabile che l’Agenzia delle Entrate opponga diniego escludendo, sulla scorta della propria prassi, che detti atti non siano “atti impositivi”. È allora consigliabile informare per tempo il contribuente che, ove voglia procedere a rottamare effettivamente la lite, dovrà essere pronto a far valere l’efficacia della definizione impugnando il diniego dell’Agenzia ancora una volta avanti al giudice tributario.