Nel decreto crescita esaminato dai tecnici in vista del consiglio dei ministri di domani spunta una nuova sanatoria fiscale. Si tratta di un ampliamento della terza rottamazione delle cartelle attualmente in corso, che grazie alla nuova norma (articolo 14-bis nella bozza circolata ieri in attesa di numerazione definitiva) si potrà estendere anche alle multe e alle imposte locali nei Comuni che non hanno affidato la raccolta delle proprie entrate a Equitalia, ora agenzia delle Entrate riscossione. La platea dei Comuni interessati viaggia intorno ai 5mila, il 60% dei municipi italiani. I consigli comunali avranno 60 giorni di tempo per decidere se aderire o meno. E saranno i contribuenti a doversi orientare nel dedalo delle delibere. Anche se in molti Comuni la comunicazione non mancherà. La nuova rottamazione arriva all’inizio della campagna elettorale per le amministrative che a fine maggio rinnoveranno quasi 3.900 Comuni; e offre alle giunte uscenti un ottimo argomento da spendere in vista delle urne. Già, perché nel caos strutturale che domina il fisco locale nulla è facile. E spesso inciampa anche il legislatore. È stato del resto un infortunio, nel collegato fiscale di ottobre scorso, a chiudere le porte della sanatoria ai contribuenti che ora vedono arrivare all’improvviso la nuova chance. In sintesi, la riscossione locale è divisa in due famiglie. La riscossione coattiva di Imu, Tari, multe e così via, che scatta quando il contribuente non si presenta da solo alla cassa, può essere stata affidata all’agente nazionale della riscossione, cioè Equitalia nelle varie denominazioni che ha cambiato nel tempo, oppure svolta dal Comune con mezzi propri o tramite società in house e concessionari privati. Nel primo caso, al debitore ritardatario viene recapitata la classica cartella, con le relative poste debitorie iscritte a «ruolo», e la possibilità di rottamarlo scatta automatica quando arrivano le sanatorie nazionali. Nel secondo, i 5mila Comuni appunto, la riscossione coattiva si fa con «ingiunzione», un vecchio meccanismo istituito da un Regio decreto del 2010, e la rottamazione è possibile solo se lo decide l’ente, a patto che una regola nazionale glielo permetta. La rottamazione-ter inserita a ottobre nel decreto fiscale parallelo alla manovra si era dimenticata questo passaggio. O meglio un emendamento targato M5S della senatrice Bottici era pronto, ma è poi saltato all’ultimo voto in Commissione Finanze. Ma una nuova chance a un condono non si nega mai ed eccola servita ora con il provvedimento incaricato di rivitalizzare la stentata congiuntura italiana. La novità, si diceva, può interessare circa 5mila Comuni, quelli che appartengono alla “famiglia” dell’ingiunzione. Ma siccome nel fisco locale nulla è lineare, c’è un’altra variabile. In linea con la rottamazione nazionale, la nuova sanatoria è ad amplissima gittata, può interessare le ingiunzioni arrivate a casa dei contribuenti tra il 2000 e il 2017. Ma nel tempo le famiglie sono cambiate, e un Comune può aver fatto ingiunzioni per una serie di anni e «ruoli» (Equitalia) per altri periodi. A Milano, per esempio, Equitalia ha “perso” la tassa rifiuti a fine 2012, l’Ici/Imu un anno dopo ed è definitivamente uscita di scena nel 2014. A Roma la riscossione è da sempre affidata a società in house, a Bologna ha abbandonato Equitalia nel 2011 mentre Napoli, nonostante molti tentativi di ripensamento, è rimasta fedele all’agente nazionale della riscossione. Per un contribuente medio, orientarsi in questo labirinto è impossibile. La norma prevede quindi due obblighi per i Comuni. Entro 60 giorni dall’entrata in vigore delle norme bisognerà approvare la delibera in consiglio comunale, decidendo quali entrate e per quali anni permettere la rottamazione all’interno del pacchetto completo proposto dalla legge nazionale. Ed entro un mese dalla delibera dovranno comunicare sul proprio sito istituzionale le loro decisioni, in cui si specificano anche il calendario e le modalità per aderire alla rottamazione e pagare le rate. Anche queste, variabili da Comune a Comune.