Cessione di azienda: binari separati per dirette e registro, in ogni caso

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6816 dell’8 marzo 2019, ha stabilito che non è corretto vincolare l’accertamento della maggiore plusvalenza da cessione di compendio aziendale, ai fini delle imposte dirette, al valore determinato per l’imposta di registro, neppure qualora ciò si risolva a favore del contribuente, ovvero nel caso in cui il valore accertato ai fini dell’imposizione indiretta sia inferiore al corrispettivo dichiarato ai fini delle imposte dirette. IL FATTO La vertenza riguarda un avviso di accertamento relativo alle imposte Irpef, Irap e Iva, con cui un ufficio lombardo dell’Agenzia delle entrate rettificava i valori di cessione dell’esercizio commerciale di un contribuente e rideterminava il reddito d’impresa, recuperando una plusvalenza. Il contribuente adiva la Ctp di Milano, lamentando che il valore dell’accertamento avrebbe dovuto essere determinato non solo in base alla ubicazione dell’esercizio e agli atti di provenienza, ma tenendo conto dei ricavi effettivamente conseguiti. I primi giudici accoglievano il ricorso. Stessa posizione favorevole alla parte privata veniva assunta dalla Ctr di Milano, che si era successivamente pronunciata a seguito di gravame dell’ufficio. L’ufficio di Milano, pertanto, ricorreva in Cassazione, affidando il ricorso a tre motivi di diritto, lamentando, in particolare, la violazione di legge, sulla scorta dell’assunto che il valore definito ai fini dell’imposta di registro e il valore accertato ai fini delle imposte dirette non dovessero necessariamente coincidere. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La suprema Corte, nello scrutinare il motivo di diritto a noi di interesse, premette che la questione del rapporto tra accertamento ai fini dell’imposta di registro e imposte sui redditi viene in rilievo, di norma, quando l’accertamento relativo alla prima evidenzia un valore più alto di quello dichiarato per le seconde dal venditore del bene; diversamente, nel caso in questione, il valore della base imponibile dell’imposta di registro risultava inferiore rispetto a quello accertato ai fini delle imposte dirette e il giudice di merito aveva concluso che il primo valore, divenuto definitivo, vincolasse l’amministrazione finanziaria anche ai fini delle seconde. Tuttavia, nel 2015, ricorda la Corte, è intervenuta sul tema una norma ritenuta di interpretazione autentica (in proposito, vedi anche Cassazione n. 27614/2018), applicabile retroattivamente. Si tratta dell’articolo 5, comma 3, Dlgs 147/2015, secondo cui, per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al Dlgs 131/1986, ovvero delle imposte ipotecarie e catastali di cui al Dlgs 347/1990. Il novum normativo legittima maggiormente l’attività impositiva dell’ufficio, perché, in sostanza, esprime il principio per cui l’accertamento ai fini delle imposte dirette non si può basare solo sul valore accertato ai fini del Registro, atteso che il presupposto di tale tributo è il valore del bene, mentre quello dell’imposizione diretta è il corrispettivo derivante dalla cessione. In definitiva, vincolare l’accertamento ai fini delle imposte dirette al valore determinato ai fini dell’imposta di registro, anche se si risolve a favore del contribuente, non appare, comunque, corretto. Osservazioni conclusive La sentenza in commento, divergendo dalla tematica classica di riferimento, prende in esame un caso particolare, in cui il valore definitivamente accertato ai fini dell’imposta di registro era inferiore rispetto a quello accertato ai fini delle imposte dirette, con conseguente utilizzo, da parte del giudice di merito, del primo valore a vantaggio del contribuente. Invece, il principio desumibile dall’articolo 5, comma 3, Dlgs 147/2015, che ha escluso la possibilità di presumere l’esistenza di un maggior corrispettivo, ai fini della determinazione della plusvalenza tassabile, soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ha, secondo i giudici di legittimità, un’applicazione a tutto tondo e non solo atta a limitare la potestà impositiva dell’amministrazione finanziaria. Dall’enunciazione del principio di diritto del deliberato in esame deriva, in sostanza, la libertà dell’ufficio di determinare il corrispettivo tassabile, senza vincoli derivanti da accertamenti per altri fini, salvo il rispetto dell’imprescindibile onere motivazionale.

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Considerati i diversi presupposti dei tributi, l’ufficio è libero di determinare il corrispettivo tassabile senza obblighi derivanti da accertamenti effettuati per altre finalità

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