L'esercizio della facoltà di opzione, riservata al contribuente, di utilizzare le perdite di esercizio verificatesi negli anni pregressi, portandole in diminuzione del reddito prodotto nell’anno oggetto della dichiarazione, ovvero di non utilizzare queste perdite riportandole in diminuzione dal reddito nei periodi di imposta successivi, costituisce manifestazione di volontà negoziale e non mera dichiarazione di scienza, con la conseguenza che essa deve essere esercitata mediante una chiara indicazione nella dichiarazione dei redditi, la quale, sul punto, diviene irretrattabile e non può essere emendata successivamente. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8195 del 22 marzo 2019. È ormai noto il principio giurisprudenziale per cui la dichiarazione annuale, costituendo una dichiarazione di scienza, è in linea generale rettificabile, finanche in sede contenziosa, purché nei limiti temporali della decadenza del potere di accertamento di cui all’art. 42 del Dpr 600/1973 e 56 del Dpr 633/1972 (ex pluris, Cassazione 21857 e 9849 del 2018, 16286/2017; Commissione tributaria provinciale di Milano, sentenza 1022/12/19 del 7 marzo 2019). Esistono, tuttavia, parti della dichiarazione che si sottraggono a tale principio, perché non costituiscono dichiarazione di scienza, appunto emendabile, ma manifestazione di volontà negoziale: in quest’ultimo caso, il contribuente ha l’onere, secondo la disciplina generale codicistica dei vizi della volontà, di fornire la prova che l’errore abbia i requisiti della essenzialità e della obiettiva riconoscibilità da parte dell’Amministrazione finanziaria, affinché il contribuente possa correggere l’errore (Cassazione 7294/2012). Secondo la Suprema Corte, quella parte della dichiarazione dei redditi in cui il contribuente indica, o sceglie di non indicare, lo scomputo delle perdite pregresse costituisce un manifestazione di volontà negoziale, in quanto il contribuente esercita, oppure no, una facoltà concessa dal legislatore, quella appunto di compensare le perdite pregresse con i redditi dell’esercizio o di quelli successivi (Cassazione 25566/2017). Del resto, già nel 2018, la Cassazione aveva stabilito che, a fronte della scelta del contribuente di non riportare le perdite nell’annualità in oggetto, non si può ritenere di essere di fronte a un errore riconoscibile da parte dell’Amministrazione finanziaria, potendo la modalità adottata dal contribuente essere una delle possibili opzioni di compilazione della dichiarazione, che non è idonea a destare alcun sospetto di errore nell’Ufficio; inoltre, laddove il contribuente in dichiarazione abbia manifestato una volontà, esercitando una opzione, non può, poi, a posteriori, modificare la stessa, neppure attraverso una istanza di rimborso (Cassazione 1117/2018). Analoga decisione è stata assunta in passato dagli Ermellini per la mancata indicazione in dichiarazione sia del credito d’imposta per la ricerca scientifica (Cassazione 30172/2017) sia degli altri crediti d’imposta per i quali la legge ne richiede a pena di nullità l’indicazione nel quadro RU (Cassazione 20208/2015).