La quota di ammortamento di un bene strumentale è fiscalmente deducibile anche in relazione alle annualità durante le quali non ne sia stato possibile l’utilizzo: il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 9252 del 3 aprile 2019, in aderenza al principio di diritto secondo cui ai fini della determinazione della base imponibile delle società di capitali si applica il criterio della “dipendenza”, e quindi della “derivazione” dal risultato del conto economico, redatto in conformità al Codice civile e ai principi contabili nazionali. Conseguentemente, la deduzione delle quote di ammortamento del costo dei beni strumentali deve avvenire sulla base delle «inderogabili regole civilistiche di redazione del bilancio», le quali operano – in assenza di disposizioni specifiche di segno contrario – anche ai fini fiscali. Pertanto, in sede di dichiarazione, il contribuente non può procedere discrezionalmente alla determinazione delle quote di ammortamento, in quanto – stante il disposto dell’articolo 2426, comma 1, n. 2), del Codice civile – l’ammortamento dev’essere necessariamente improntato al criterio di sistematicità (principio, questo, più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità: per tutte, si vedano Cassazione 14 ottobre 2015, n. 20680 e 17 ottobre 2014, n. 22016). Per i giudici di legittimità, infatti, tale principio è stato recepito dall’articolo 83 del Tuir, secondo il quale: 1. «Il reddito complessivo è determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nelle successive disposizioni della presente sezione»; 2. «(...) per i soggetti, diversi dalle micro-imprese di cui all’articolo 2435-ter del Codice civile, che redigono il bilancio in conformità alle disposizioni del Codice civile, valgono, anche in deroga alle disposizioni dei successivi articoli della presente sezione, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dai rispettivi principi contabili». Anche gli orientamenti ormai consolidatisi in dottrina e giurisprudenza appaiono in linea con tale impostazione: a tale proposito, in particolare, l’ordinanza in commento sottolinea che «il formante giurisprudenziale è nel senso di allineare, ove possibile, l’inquadramento fiscale ai criteri di redazione del bilancio civilistico, così come integrati ed esplicitati dai principi contabili nazionali» (in tal senso si richiamano le pronunce della Suprema Corte 1304/2019, 16447/2018, 25690/2016, 21621/2015, 400/2013 e 23330/2013). Sulla scorta delle considerazioni che precedono, dall’analisi delle norme civilistiche occorre desumere che non vi è alcuna disposizione che prevede l’interruzione dell’ammortamento a causa della sospensione temporanea dell’attività produttiva, oppure per un fatto estraneo a scelte imprenditoriali volontarie (situazione che potrebbe essere ravvisata ad esempio nel caso di un impianto rimasto inattivo perché sottoposto a sequestro): anche nelle fattispecie descritte, quindi, l’Amministrazione fiscale non può recuperare a tassazione le quote di ammortamento. Pertanto – hanno sottolineato gli Ermellini – è irrilevante la sopravvenuta “non inerenza” del costo. Piuttosto, la questione in esame trova una soluzione nelle regole, recepite dal Codice civile, di gestione dell’impresa nel rispetto del cosiddetto “going concern”, cioè la “funzione economica” dell’elemento considerato: vale a dire «la prospettiva della continuazione dell’attività» (articolo 2423-bis, comma 1, n. 1, del Codice civile), nonché i «criteri di valutazione (che) non possono essere modificati da un esercizio all’altro» (così recita il n. 6) della norma codicistica da ultimo citata). Per la Cassazione, inoltre, tale impostazione appare coerente con i principi dettati in materia di ammortamento dai principi contabili nazionali. L’Oic 16, invero, precisa che: a. «56. Il costo delle immobilizzazioni materiali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo, deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione. La quota di ammortamento imputata a ciascun esercizio si riferisce alla ripartizione del costo sostenuto sull’intera durata di utilizzazione”; b. «57. L’ammortamento è calcolato anche sui cespiti temporaneamente non utilizzati». Le conclusioni alle quali approdano in questa sede i giudici di legittimità non sembrano contrastare la pronuncia della Corte di Cassazione 18 giugno 2014, n. 13807, laddove si affermò che le quote di ammortamento del costo dei beni sono deducibili «purché i costi siano sostenuti in funzione della produzione di ricavi e, dunque, a condizione che i beni acquistati siano non soltanto strumentali alla specifica attività aziendale ma anche effettivamente utilizzati nell’esercizio dell’impresa». Si tratta peraltro di un precedente non applicabile alla fattispecie in esame: nel caso allora sottoposto all’esame della Corte, infatti, il bene non era più ammortizzabile perché l’impresa aveva cessato la propria attività e dismesso l’azienda.