Paga l'Iva l'agente di commercio che svolge la propria attività di intermediazione nei confronti di un soggetto avente sede in un paese extracomunitario se i beni sono presenti sul territorio nazionale. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con le sentenze nn. 8108 e 8109 del 22 marzo 2019. IL FATTO Con avviso di accertamento l'Agenzia delle Entrate rideterminava maggiore ricavi a carico di un contribuente, conseguiti nello svolgimento dell'attività di agente di commercio. La Ctp accoglieva il ricorso di quest'ultimo in considerazione del fatto che la rideterminazione dei ricavi della rettifica del reddito, così come operata dall'ufficio, si basava su elementi dati privi della necessaria fondatezza. Il giudice di appello ha, invece, ritenuto legittimo l'atto impositivo, evidenziando, in particolare, sia l'assoggettabilità delle provvigioni all'Iva, anche sotto il profilo della territorialità delle prestazioni, sia la sussistenza dei presupposti per il ricorso all'accertamento induttivo del reddito del contribuente. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il contribuente, censurando la decisione della Ctr per avere ritenuto imponibili le prestazioni di intermediazione dal medesimo svolte, benché le stesse erano state seguite, per tramite di sub agenti, in favore di un soggetto avente sede in un paese extracomunitario. Il contribuente muove dal presupposto che nel caso in esame si sia in presenza di scambi internazionali aventi ad oggetto servizi di intermediazione relativi a beni di importazione e invoca la non imponibilità, ai fini Iva, delle prestazioni di tali servizi per difetto del requisito della territorialità. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione respinge il ricorso. In particolare il giudice di appello aveva, sul punto, espressamente affermato che i beni oggetto di tale prestazioni di intermediazione fossero già presenti sul territorio nazionale e, dunque, correttamente aveva escluso che gli stessi fossero oggetto di importazione.