La constatazione che le sospensioni precedentemente inflitte per illeciti di significativa gravità si siano rivelate inidonee a dissuadere il notaio dal compimento di illeciti disciplinari, è atta a rendere non manifestamente sproporzionata la destituzione di colui che, rendendosi responsabile per la terza volta della medesima violazione si dimostri inadeguato rispetto agli standard richiesti da una professione “destinata a garantire la sicurezza dei traffici giuridici, a propria volta preminente interesse dello Stato di diritto”. È quanto ha dichiarato la Corte Costituzionale nella sentenza n. 133 del 29 maggio 2019. IL FATTO La Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 147, secondo comma, della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), come sostituito dall’art. 30 del decreto legislativo 1° agosto 2006, n. 249, recante “Norme in materia di procedimento disciplinare a carico dei notai, in attuazione dell’articolo 7, comma 1, lettera e), della legge 28 novembre 2005, n. 246”. La causa riguarda un notaio, che si è visto rigettare il gravame contro una decisione della Commissione amministrativa regionale di disciplina (CO.RE.DI.) della Lombardia, che gli aveva inflitto la sanzione disciplinare della destituzione ai sensi della disposizione censurata. La giustificazione del rigetto è da ritrovare nel fatto che il notaio già per due volte era stato ritenuto responsabile (nel 2012 e nel 2013) dell’illecito previsto dall’art. 147, primo comma, della legge n. 89 del 1913, per non avere versato all’erario le somme versatele dai clienti per la registrazione e la trascrizione degli atti rogati. Nel primo caso le era stata inflitta la sanzione della sospensione per la durata di due mesi, e nel secondo caso quella della sospensione per la durata di un anno. LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE La Corte Costituzionale rileva innanzi tutto che l’art. 147 della L. n. 89 del 1913 prevede, al primo comma, che sia “punito con la censura o con la sospensione fino ad un anno o, nei casi più gravi, con la destituzione” il notaio che pone in essere una serie di condotte di rilievo disciplinare, descritte dallo stesso primo comma. Il secondo comma dispone che “[l]a destituzione è sempre applicata se il notaio, dopo essere stato condannato per due volte alla sospensione per la violazione del presente articolo, vi contravviene nuovamente nei dieci anni successivi dall’ultima violazione”. Il giudice a quo dubita che tale disposizione confligga con gli artt. 3 e 24 Cost., introducendo un automatismo sanzionatorio correlato a una presunzione iuris et de iure di gravità del fatto e di pericolosità del recidivo reiterato, che impone al giudice disciplinare di applicare la sanzione più grave della destituzione, senza consentirgli di tenere conto di eventuali circostanze attenuanti, o comunque della concreta gravità della violazione. La Corte Costituzionale ritiene che la sanzione fissa della destituzione nella peculiare ipotesi prevista dall’art. 147, secondo comma, della L. n. 89 del 1913 non può ritenersi incompatibile con l’art. 3 della Costituzione anche se è vero che le fattispecie previste abbracciano condotte di disvalore non necessariamente omogeneo, comprendendo in particolare qualsiasi condotta, attinente alla vita pubblica o privata, che comprometta, “in qualunque modo”, la “dignità e reputazione” del notaio nonché “il decoro e prestigio della classe notarile”, oltre che qualsiasi violazione “non occasionale” delle norme deontologiche elaborate dal Consiglio nazionale del notariato. Tuttavia, l’obbligatoria applicazione della massima sanzione della destituzione scatta soltanto quando il notaio sia stato ritenuto responsabile, per la terza volta nell’arco di un decennio, di uno degli illeciti previsti, e alla specifica condizione che per i primi due illeciti egli sia stato condannato alla sanzione della sospensione. La Corte ritiene che, proprio la constatazione che le sospensioni precedentemente inflitte, per illeciti di significativa gravità, si siano rivelate inidonee a dissuadere il notaio dal compimento di illeciti disciplinari, a rendere non manifestamente sproporzionata la destituzione di colui che, rendendosi responsabile per la terza volta della medesima violazione si dimostri inadeguato rispetto agli standard richiesti da una professione “destinata a garantire la sicurezza dei traffici giuridici, a propria volta preminente interesse dello Stato di diritto”, e nella quale i consociati debbono poter riporre un “particolare ed elevato grado di fiducia”. Da qui la dichiarazione di non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale.