È legittima la scelta dell'amministrazione - nel caso il comune di Roma - di riconoscere la progressione economica unicamente ai dipendenti che abbiano maturato una determinata anzianità ad una certa data. Tale discrimine, previsto dal contratto integrativo, è infatti «coerente con una scelta di valorizzazione del personale che sviluppa la propria carriere all'interno di quel comparto». La Corte di cassazione, ordinanza n. 15281 del 5 giugno 2019, ha così respinto il ricorso di due dipendenti pubbliche trasferite presso l'amministrazione capitolina e provenienti, l'una, da un comune della provincia, l'altra, da un Centro regionale per ciechi, a cui era stata revocata l'attribuzione della classe economica perché al 31 dicembre 2016 (data indicata nel C.c.d.i.) non godevano della prescritta anzianità. E cioè: almeno un anno di servizio nella «posizione economica inferiore» all'interno della medesima amministrazione. Anzi, precisa la Corte, all'epoca non erano neppure state trasferite, dal momento che il passaggio effettivo era avvenuto soltanto nella primavera dell'anno successivo. Nel passaggio dei lavoratori da un ente all'altro, spiega la decisione, la garanzia del mantenimento del trattamento economico e normativo «non implica la parificazione con i dipendenti già in servizio presso il datore di lavoro di destinazione». Mentre «l'anzianità di servizio, che di per sé non costituisce un diritto che il lavoratore possa fare valere nei confronti del nuovo datore, deve essere salvaguardata in modo assoluto solo nei casi in cui alla stessa si correlino benefici economici ed il mancato riconoscimento della pregressa anzianità comporterebbe peggioramento del trattamento retributivo in precedenza goduto dal lavoratore trasferito». «L'anzianità pregressa, invece - prosegue la Corte -, non può essere fatta valere per rivendicare ricostruzioni di carriera sulla base della diversa disciplina applicabile al cessionario, né può essere opposta al nuovo datore per ottenere un miglioramento della posizione giuridica ed economica, perché l'ordinamento garantisce solo la conservazione dei diritti (non delle aspettative) già entrati nel patrimonio del lavoratore alla data della cessione del contratto». Una lettura, continua la Cassazione, confermata dalla Corte di Lussemburgo che ha ribadito come lo scopo della direttiva (2001/23/CE) sia «solo quello di assicurare il mantenimento dei diritti già acquisiti dai lavoratori trasferiti» e che «l'anzianità maturata presso il cedente non costituisce di per sé un diritto di cui i lavoratori possano avvalersi nei confronti del cessionario». In conclusione, per la Sezione Lavoro «non si tratta dell'attribuzione di un peggioramento retributivo al momento del passaggio da un'amministrazione all'altra per effetto del mancato riconoscimento dell'anzianità maturata presso il cedente (stigmatizzato ed escluso nelle pronunce a Sezioni unite oltre che nella decisione della Corte di Giustizia UE n. 108/10) ma di una scelta delle parti collettive dell'amministrazione di destinazione di attribuire rilievo all'esperienza professionale maturata presso quel comparto e così di riconoscere la progressione economica solo in favore di quei dipendenti che entro un'indicata data avessero maturato un'anzianità di almeno un anno nella posizione economica inferiore».