Una normativa nazionale non può prevedere che in caso di trasferimento, e per il fatto che il cessionario è un comune, i lavoratori interessati debbano, da un lato, partecipare ad una procedura di concorso pubblico e, dall’altro, costituire un nuovo rapporto contrattuale con il cessionario. La lavoratrice deve beneficiare della protezione che la normativa europea concede, a condizione che essa sia tutelata in quanto lavoratore dalla normativa e che benefici di un contratto di lavoro alla data del trasferimento, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. E’ quanto ha dichiarato la Corte di Giustizia UE nella sentenza del 13 giugno 2019 in riferimento alla causa C-317/18. IL FATTO La Corte di Giustizia UE è stata chiamata, nella causa n. C-317/18, per fornire chiarimenti in merito alla legalità della cessazione del contratto di lavoro di una lavoratrice di un’azienda municipale a causa del trasferimento delle attività ad un comune. Il Giudice del rinvio ha chiesto in sostanza di chiarire: - se, intendendosi come “lavoratore” qualunque persona che, nello Stato membro interessato, sia tutelata, in quanto lavoratore, dal diritto nazionale del lavoro, la persona che ha un contratto di collaborazione con il cedente possa considerarsi un lavoratore ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, e beneficiare della tutela offerta dalla normativa in oggetto; - se la normativa dell’Unione, direttiva 2001/23 (...), in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 2, del Trattato sull’Unione europea, osti a una normativa nazionale che, anche nel caso di un trasferimento cui si applichi detta direttiva, preveda necessariamente la partecipazione dei lavoratori a concorso pubblico e la formazione di un nuovo rapporto contrattuale con il cessionario per il fatto che questi è un comune. LA DECISIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE La Corte di Giustizia Ue nella sentenza del 13 giugno 2019, rileva innanzi tutto che l’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2001/23 deve essere interpretato nel senso che una situazione in cui le attività di un’azienda municipale sono trasferite ad un comune rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva, purché l’identità dell’azienda in questione sia mantenuta dopo il trasferimento, circostanza che spetta al giudice del rinvio accertare. Analizzando la situazione della ricorrente la Corte di Giustizia ritiene che la stessa possa essere considerata a tutti gli effetti una lavoratrice ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2001/23, così come il suo contratto di collaborazione può essere considerato un contratto di lavoro ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, primo comma, di tale direttiva. Pertanto la Corte dichiara che la lavoratrice deve beneficiare della protezione che tale direttiva concede, a condizione, tuttavia, che essa sia tutelata in quanto lavoratore da detta normativa e che benefici di un contratto di lavoro alla data del trasferimento, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Inoltre la Corte rileva che ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2001/23, i diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario. L’Unione Europea deve rispettare l’identità nazionale insita nella struttura fondamentale, politica e costituzionale, degli Stati membri ma allo stesso tempo non può consentire di porre la lavoratrice in una posizione meno favorevole di quella in cui si trovava prima del trasferimento da un datore di lavoro all’altro. Alla luce di quanto rilevato la Corte di Giustizia dichiara che una normativa nazionale non può prevedere che in caso di trasferimento, e per il fatto che il cessionario è un comune, i lavoratori interessati debbano, da un lato, partecipare ad una procedura di concorso pubblico e, dall’altro, costituire un nuovo rapporto contrattuale con il cessionario.