Il commercialista non è tenuto a risarcire il socio per il condono tardivo, richiesto dalla società se, anche arrivando prima della decadenza per impugnare gli avvisi di accertamento nei confronti dei soci, questi non avrebbero beneficiato dell'effetto favorevole. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17038 del 26 giugno 2019, respinge il ricorso del socio di una società in nome collettivo, fatto per ottenere i danni da responsabilità professionale, per l'errore commesso dalla consulente, a causa del quale non sarebbe stata tempestiva la domanda di condono tombale (legge 289/2002) fatta dalla società, che doveva arrivare prima della dead line nella quale l'avviso di accertamento al socio diventava definitivo. Una richiesta respinta dalla Cassazione con un verdetto sul quale hanno pesato sia l'incertezza della norma, all'epoca dei fatti oggetto di circolari dell'Agenzia e di una pronuncia della Consulta, sia l'assenza di un reale pregiudizio per il ricorrente, che non sarebbe stato comunque favorito dal perfezionamento della procedura di condono. La Cassazione giudica, sul punto, corretta la decisione dei giudici di appello. Per la Corte territoriale, infatti, la condotta della professionista - pur se improntata ad incertezza interpretativa della norma sul condono, e fondata sull'ipotesi, che si era rivelata successivamente errata, per cui il condono conseguito dalla società avrebbe estinto anche le posizioni debitorie dei singoli soci definite negli avvisi di accertamento loro notificati – doveva essere considerata del tutto ininfluente ai fini dell'efficienza causale sul danno lamentato dal ricorrente. E questo perché il contestato ritardo nel portare a buon fine la procedura di condono, non poteva incidere su una preclusione di legge (stabilita con riferimento al discrimine temporale della notifica dell'atto impositivo entro la data dell'1 gennaio 2003) che impediva ai singoli soci di ottenere il condono dei maggiori componenti reddituali accertati con avviso notificato il 5 dicembre 2003. In più il ricorrente non aveva neppure indicato quale via alternativa la professionista avrebbe dovuto percorrere.