Il problema della cessione dei crediti IVA chiesti a rimborso è stato oggetto di esame da parte dell’Amministrazione finanziaria che, in più occasioni, ha ritenuto, in linea di principio, ammissibile l’istituto della cessione dei crediti IVA, in quanto non pregiudizievole dell’Erario. La questione ha trovato soluzione in via legislativa, siccome l’art. 5, comma 4-ter, del D.L. n. 70/1988 prevede che, “agli effetti dell’articolo 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, in caso di cessione del credito risultante dalla dichiarazione annuale deve intendersi che l’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto possa ripetere anche dal cessionario le somme rimborsate, salvo che questi non presti la garanzia prevista nel secondo comma del suddetto articolo fino a quando l’accertamento sia diventato definitivo. Restano ferme le disposizioni relative al controllo delle dichiarazioni, delle relative rettifiche e all’irrogazione delle sanzioni nei confronti del cedente il credito”. In sostanza, con tale disposizione, il legislatore, nel disciplinare le garanzie a favore dell’Erario e nel confermare le previgenti disposizioni in materia di controllo e rettifica delle dichiarazioni nei confronti del cedente il credito, ha ammesso implicitamente la legittimità della cessione dei crediti in materia di IVA. Divieto di cessione dei crediti IVA infrannuali chiesti a rimborso In merito alle modalità e agli adempimenti da osservare da parte dei soggetti interessati e degli Uffici competenti, la prassi amministrativa ha chiarito, ai fini che qui interessano, che “possono costituire oggetto di cessione esclusivamente i crediti risultanti dalla dichiarazione annuale IVA, richiesti al rimborso con la procedura normale ovvero con quella accelerata, previste, rispettivamente, dal comma 1 e dal comma 2 del citato art. 38-bis. Invece non possono essere ceduti i crediti risultanti dalla dichiarazione annuale IVA nel caso in cui il contribuente abbia scelto di computarli in detrazione nell’anno successivo ai sensi del disposto del comma 2 dell’art. 30 dello stesso D.P.R. n. 633” (C.M. 28 ottobre 1988, n. 223/E). Il divieto di cessione dei crediti IVA infrannuali chiesti a rimborso è stato successivamente confermato dall’Agenzia delle Entrate in diverse occasioni. Nella circolare n. 6/E/2006 (risposta 12.4), è stato ribadito che dal citato art. 5, comma 4-ter, D.L. n. 70/1988 “si desume implicitamente che il credito relativo ai rimborsi infrannuali non possa essere ceduto, non essendo configurabile alcun limite alla possibilità di ripetere le somme cedute”. Per “credito risultante dalla dichiarazione annuale, infatti, si deve intendere quello indicato nella dichiarazione annuale IVA e, pertanto, solo tali crediti - e non anche quelli infrannuali chiesti a rimborso - sono suscettibili di cessione”. Nello stesso senso la risoluzione n. 49/E/2006, secondo cui “i crediti IVA di cui alle richieste di rimborso infrannuale non possono formare oggetto di cessione rilevante nei confronti dell’Amministrazione finanziaria”. Modifica estensiva con il decreto Crescita Il decreto Crescita modifica l’art. 5, comma 4-ter, D.L. n. 70/1988, estendendone la portata ai crediti di cui sia stato chiesto il rimborso in sede di liquidazione trimestrale. La novellata disposizione, applicabile ai crediti dei quali sia chiesto il rimborso a decorrere dal 1° gennaio 2020, adegua la normativa in materia all’orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui “la cessione del credito IVA, vantato dalla curatela fallimentare ma non ancora esposto in dichiarazione, non può che seguire le ordinarie regole del Codice civile (artt. 1260, 1264, 1348 c.c.)”, con la conseguenza che non può “essere considerata causa ostativa all’efficacia dell’atto di cessione il fatto che il credito (quantificabile) non sia ancora stato chiesto a rimborso nella dichiarazione annuale al momento dell’atto di cessione, dato che tale circostanza comporta soltanto il rinvio del pieno operare degli effetti della cessione al momento in cui il credito viene cristallizzarsi definitivamente secondo le norme tributarie” (sentenza 24 giugno 2015, n. 13027). Anche Assonime, nell’intervento n. 39 del 20 dicembre 2018, aveva auspicato l’integrazione della norma di cui sopra al fine di escluderne la lettura particolarmente formalistica operata dall’Amministrazione finanziaria, in assenza di ragioni valide per giustificare la discriminazione del credito infrannuale rispetto a quello emergente dalla dichiarazione annuale. Allo stesso modo, una diversa conclusione rispetto a quella della prassi amministrativa è stata avvalorata dall’AIDC di Milano con la Norma di comportamento n. 164, secondo cui “il credito IVA trimestrale, chiesto a rimborso ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542 e confermato nella dichiarazione IVA annuale, può essere ceduto a terzi con le modalità previste dall’art. 69 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, con effetto nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, quale debitore ceduto”. Ulteriori effetti “a cascata” L’abolizione del divieto generale di cessione dei crediti IVA infrannuali dovrebbe travolgere anche le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate che limitano la cessione al consolidato nazionale del solo credito IVA annuale. Si considerino, in particolare, la circolare n. 53/E/2004 (§ 5.1) e la circolare n. 1/E/2010 (§ 4), che - in merito alla previsione del previgente art. 7, comma 1, lettera b), del D.M. 9 giugno 2004, del tutto analoga a quella dell’attuale art. 7, comma 1, lettera b), del D.M. 1° marzo 2018 - fanno esclusivamente riferimento al credito IVA risultante dalla dichiarazione annuale, così confermando - sia pure non esplicitamente - che ai fini della compensazione con l’IRES dovuta dalla consolidante non è possibile cedere i crediti IVA infrannuali.