I prestiti concessi da una società a suoi dipendenti si presumono a titolo oneroso e, pertanto, se la società non fornisce la prova contraria della loro gratuità, è legittimo l’accertamento del Fisco degli interessi attivi non dichiarati. È questa la conclusione raggiunta dalla Corte di Cassazione, per la prima volta, con l’ordinanza n. 17692 del 2 luglio 2019. La questione della presunzione di onerosità dei finanziamenti riguarda di solito quelli concessi dai soci alle società partecipate: infatti, l’articolo 46, comma 1, del Tuir stabilisce che le somme versate alle società commerciali dai loro soci si considerano date a mutuo se dai bilanci o dai rendiconti di tali soggetti non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo. Secondo taluni giudici di merito, però, la norma si riferisce soltanto ai soci e non anche a soggetti estranei alla società, come un contribuente non socio (Ctp Varese 126/2018). Invero, il Tuir contiene altre presunzioni che regolano i versamenti di somme date a mutuo: l’articolo 45, comma 2, infatti, dispone che, per i capitali dati a mutuo, gli interessi, salvo prova contraria, si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto; se le scadenze non sono stabilite per iscritto gli interessi si presumono percepiti nell’ammontare maturato nel periodo di imposta; se la misura non è determinata per iscritto gli interessi si computano al saggio legale. Ne caso oggetto della sentenza qui commentata, una Srl aveva adottato la consolidata prassi di concedere ai propri dipendenti dei finanziamenti, senza richiesta di interessi, ma il Fisco, in sede di controllo, riscontrando che altri finanziamenti verso diverse società erano stati invece concessi a titolo oneroso con la pattuizione di interessi poco inferiori al 4%, aveva eccepito la presunzione di onerosità anche relativamente ai finanziamenti erogati ai dipendenti, accertando così l’omessa dichiarazione dei relativi interessi attivi. La Suprema Corte ha stabilito che i giudici di merito avevano sbagliato ad affermare che poteva considerarsi un fatto notorio la consolidata prassi dell’azienda di concedere finanziamenti gratuiti ai dipendenti, sicché doveva ritenersi illegittimo l’accertamento. Diversamente, secondo la Cassazione, esiste una presunzione di onerosità del mutuo e in caso di mancata determinazione degli interessi va applicato il saggio legale: la dimostrazione della mancata percezione degli interessi attivi sulle somme date a mutuo incombe sul contribuente, sia per il carattere normalmente oneroso del contratto di mutuo, quale previsto dall’articolo 1815 del Codice civile, sia in quanto l’articolo 45 del Tuir prevede che i capitali dati a mutuo, salvo prova contraria, producono interessi al tasso legale, se non convenuti o pattuiti in misura inferiore. Spettava, quindi, alla società fornire la documentazione probatoria, invece non esibita, dimostrante la gratuità dei prestiti ai dipendenti, tanto più che i finanziamenti alle altre società erano pacificamente a titolo oneroso. In effetti, in relazione all’analoga questione della presunzione di onerosità dei finanziamenti concessi dai soci alle società partecipate, la Cassazione ha sempre fatto salva la prova contraria risultante dai bilanci e dai rendiconti societari (pronunce 2735/2011, 12251/2010, 16445/2009).