In caso di omessa dichiarazione, l’Amministrazione può accertare i ricavi anche con presunzioni super semplici, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, ma deve sempre considerare i costi relativi, determinati anche induttivamente. A confermare questo interessante principio è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19191 del 17 luglio 2019. IL FATTO L’agenzia delle Entrate emetteva un avviso di accertamento nei confronti di una società che aveva omesso la presentazione della dichiarazione: erano emerse quattro fatture di vendita non dichiarate emesse nei confronti di altri soggetti. Il provvedimento veniva impugnato dinanzi alla competente Ctp che confermava la legittimità della pretesa dell’Agenzia. Ad analoghe conclusioni giungeva anche il giudice di appello. La società e i relativi soci ricorrevano così in Cassazione lamentando, tra i diversi motivi, che l’Ufficio avesse erroneamente applicato il metodo induttivo non avendo considerato alcun costo. Così facendo risultava tassato il ricavo lordo violando il principio di capacità contributiva. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Cassazione, ritenendo fondata l’eccezione difensiva, ha innanzitutto ricordato che le norme sull’imposizione diretta sono ispirate al principio costituzionale della capacità contributiva e non prevedono ipotesi di responsabilità fiscale “oggettiva”, indipendente cioè dall’esistenza di un reddito effettivo. In caso di omessa presentazione possono essere applicate dall’Amministrazione presunzioni super semplici, prive cioè dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Tuttavia, l’ufficio deve comunque determinare sia pure induttivamente anche i costi relativi ai ricavi accertati. Solo così infatti, è rispettato il parametro costituzionale della capacità contributiva. La Suprema Corte ha altresì precisato che in tale contesto non operano le limitazioni previste dall’articolo 109 del Tuir in tema di accertamento dei costi, in base al quale sono ammessi in deduzione i componenti negativi di reddito se e nella misura in cui risultano imputati al conto economico. Tale norma, infatti, è applicabile in caso di rettifica di una dichiarazione presentata ancorché infedele. È stato così affermato il principio secondo cui in caso di accertamenti diversi da quelli analitici, ai fini della ricostruzione del reddito, i costi non registrati devono essere riconosciuti anche nel caso in cui non siano annotati nelle scritture contabili ed anche quando sia stata omessa la dichiarazione. L’imposta, infatti, va applicata solo sull’utile netto. Nella specie, i giudici di appello non avendo considerato i costi neanche in via induttiva hanno finito per confermare l’operato dell’ufficio assoggettando erroneamente a tassazione tutti i ricavi e quindi il reddito lordo e non quello netto. Per queste ragioni è stato accolto il ricorso del contribuente.