Per contestare la bancarotta fraudolenta documentale e in particolare quella in cui l'imputato abbia distrutto la documentazione occorre che il dolo specifico venga dimostrato dal giudice. Nel caso contrario cade il capo d'imputazione. Lo precisa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 32001 del 18 luglio 2019. IL FATTO Nel caso concreto la Corte di appello di Palermo aveva confermato la condanna a carico di un cittadino per il reato di bancarotta fraudolenta documentale a lui ascritto nella qualità di amministratore di una srl, società dichiarata fallita il 6 ottobre 2008. Contro la sentenza il privato ha proposto ricorso, eccependo che la notifica era avvenuta nelle mani del difensore e che la bancarotta documentale a lui ascritta non potesse essere dolosa. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE Iniziando a esaminare quest'ultimo aspetto la Cassazione ha chiarito che la bancarotta fraudolenta documentale ex articolo 216, comma 1, n. 2 della legge fallimentare prevede due fattispecie alternative: quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili che richiede il dolo specifico; quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che richiede il dolo generico. Nel caso esaminato dalla Cassazione è stata contestata e ritenuta dai giudici di merito la prima ipotesi, vale a dire quella relativa alla sottrazione, distruzione o omessa tenuta dei libri e delle altre scritture contabili che richiede il dolo specifico consistente nello scopo di procurare a sè o a d altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori. Sull'elemento soggettivo così configurato nulla è stato detto nella sentenza di appello che addirittura in un passaggio della motivazione ha richiamato l'articolo 217 della legge fallimentare ma ha fatto un generico riferimento all'impossibilità di ricostruzione del patrimonio, elemento oggettivo estraneo alla fattispecie in esame che invece entra nel range del dolo generico della seconda ipotesi. I giudici, invece, hanno rigettato la richiesta del ricorrente della nullità della citazione dell'imputato in quanto hanno specificato che nel caso in cui l'imputato non comunichi la variazione del domicilio, nel processo penale fa fede la consegna nelle mani del difensore. In definitiva è stata annullata parzialmente la sentenza con rinvio per un nuovo esame ad altra sezione della Corte d'appello di Palermo.