La Corte di Cassazione (ordinanza interlocutoria n. 19877 del 23 luglio 2019) in materia fallimentare ha posto alle Sezioni Unite il quesito secondo cui se quando residui un credito dell'appaltatore verso l'amministrazione appaltante e l'amministrazione abbia in base al contratto opposto la condizione di esigibilità ex articolo 118 del Dlgs 163/2006, il curatore, che voglia incrementare l'attivo debba subire o meno, sul piano della concreta funzionalità rispetto agli interessi della massa, la prededuzione del subappaltatore. Il quesito deriva da due correnti giurisprudenziali. Per la prima l'ammissione del credito del subappaltatore al passivo fallimentare in prededuzione può trovare riscontro solo se e in quanto comporti, per la procedura concorsuale, un sicuro vantaggio consistente nel pagamento di una maggior somma da parte del committente Pubblica amministrazione, la quale subordini tale pagamento alla quietanza del subappaltatore in ordine al proprio credito ex articolo 118, comma 3, del Dlgs 163/2006. Diversamente la seconda tesi prevede che in caso di fallimento dell'appaltatore di opera pubblica, il subappaltatore deve essere considerato un creditore concorsuale come tutti gli altri, nel rispetto della par condicio creditorum e dell'ordine delle cause di prelazione non essendo il suo credito espressamente qualificato prededucibile da una norma di legge, né potendosi considerare sorto in funzione della procedura concorsuale secondo quanto disposto dall'articolo 111 comma 2 della legge fallimentare. Il Collegio dell'opposizione, avrebbe dovuto riconoscere la prededuzione ai crediti del subappaltatore nell'ambito dell'appalto pubblico in quanto il suo pagamento avrebbe attuato un meccanismo satisfattorio nell'interesse di tutti i creditori, consentendo alla procedura fallimentare dell'appaltatore di presentare alla stazione appaltante la quietanza del pagamento necessaria per recuperare quanto da quest'ultima dovuto.