Il giudizio di ottemperanza agli obblighi derivanti dalle sentenze emesse dalle Commissioni tributarie, regolato dall’articolo 70 del Dlgs 546/1992, è ammissibile ogni qualvolta si voglia far valere l’inerzia della Pubblica Amministrazione rispetto al giudicato, ovvero la difformità di un atto posto in essere dalla medesima in ottemperanza al giudicato medesimo, relativamente al contenuto della sentenza da eseguire. Il menzionato giudizio presenta, pertanto, fattezze differenti rispetto al corrispondente giudizio esecutivo civile, dal quale si differenzia, poiché il suo scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nel giudicato, ma di rendere effettiva tale ingiunzione, specialmente se priva dei requisiti di puntualità e precisione tipici di un titolo esecutivo. A tale conclusione è pervenuta la Corte di Cassazione mediante l’ordinanza n. 19165 del 17 luglio 2019. Oggetto del giudizio di ottemperanza sono, per espressa disposizione legislativa, gli obblighi derivanti dalle sentenze della Commissione tributaria passate in giudicato mentre il soggetto legittimato risulta essere la parte che ha interesse a richiedere l’ottemperanza, tenuta a depositare il ricorso in doppio originale presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale, qualora la sentenza passata in giudicato sia stata dalla stessa pronunciata e, in ogni altro caso, alla segreteria della Commissione tributaria regionale (comma 1, articolo 70, Dlgs 546/1992). Il potere del Giudice dell’ottemperanza sul comando definitivo inevaso deve, tuttavia, essere esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita con il giudicato, non potendo essere attribuiti alle parti diritti nuovi e ulteriori rispetto a quelli riconosciuti con la sentenza da eseguire. Il Collegio di merito viene chiamato, pertanto, a precisare il contenuto degli obblighi scaturenti dalla sentenza da applicare, chiarendone la reale portata (Cassazione, sentenza 26433/2018). Nella fattispecie in esame, la sentenza della Commissione tributaria provinciale impugnata, nell’accogliere il ricorso (proposto ai sensi dell’articolo 70 del Dlgs 546/1992) che ha ordinato «all’amministrazione di procedere al rimborso delle ritenute operate per tutti gli anni successivi al 2004 ...» non si è uniformata ai principi in precedenza menzionati in quanto non ha rispettato i limiti della portata precettiva del giudicato il quale, in conformità alla domanda formulata dal contribuente che aveva richiesto il rimborso dell’imposta corrisposta sino al 2007, risultava essere circoscritto a tale istanza. D’altro canto, come puntualmente sottolineato dall’Amministrazione finanziaria, essendo il trattamento pensionistico sottoposto a tassazione da parte dell’ente erogante, al fine di ottenere il rimborso delle ritenute subite è necessario che il contribuente presenti, entro i termini di legge, un’apposita istanza di rimborso indicando le annualità alle quali la stessa deve fare esplicito richiamo. Nel caso in esame, tuttavia, tutto ciò non si è verificato, considerato che il contribuente ha impugnato il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso dallo stesso presentata in relazione agli anni d’imposta compresi tra il 1979 e il 2007, senza però avanzar alcuna richiesta di rimborso in merito alle annualità successive al 2007. La sentenza impugnata, non essendo coerente con i limiti oggettivi del giudicato, è stata pertanto cassata dai Giudici di legittimità e di conseguenza decisa nel merito in seguito al rigetto del ricorso per ottemperanza presentato dal contribuente.