In caso di contestazione di utilizzo in dichiarazione di fatture false da parte di una società di capitali, non vi è alcuna violazione del divieto del ne bis in idem tra la sanzione tributaria irrogata all’impresa e quella penale di cui è destinatario il rappresentante legale della società. Sussiste infatti una naturale differenza dei destinatari delle misure amministrative e penali. A ribadire questo importante principio è la Terza sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 36699 depositata il 30 agosto 2019. IL FATTO A seguito di un controllo, nei confronti di una società di capitali veniva contestato l’utilizzo di false fatture in dichiarazione. Il rappresentante legale della società veniva denunciato alla competente Procura della Repubblica per il reato previsto e punito dall’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di falsi documenti) dandosi così avvio ad un procedimento penale. All’impresa, invece, erano irrogate dall’Agenzia delle Entrate le previste sanzioni tributarie. Il procedimento penale si concludeva con la condanna nei due gradi di giudizio dell’imprenditore il quale proponeva ricorso per cassazione, lamentando, tra l’altro, che il giudice di appello non avesse considerato la sussistenza della violazione del divieto del principio del ne bis in idem. Per la medesima violazione infatti erano state irrogate doppie sanzioni: sia di tipo tributario, sia di tipo penale. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso. In particolare, i giudici di legittimità chiariscono che le sanzioni tributarie applicate alla società non integrano la violazione del principio del ne bis in idem. Infatti, non si è verificato il presupposto necessario a tal fine, ossia la coincidenza tra il soggetto colpito dalla sanzione amministrativa e quello destinatario del provvedimento penale. In questo caso la condanna penale ha interessato la persona fisica. SI tratta in altri termini del c.d. doppio binario punitivo ritenuto legittimo sia dalla stessa Cassazione, sia dalla Corte di giustizia. Secondo i giudici comunitari infatti (ancorchè la vicenda avesse riguardato l’omesso versamento IVA) la Carta dei diritti fondamentali UE (art. 50) non osta ad una normativa nazionale che consenta di avviare procedimenti penali per omesso versamento IVA dopo la sanzione tributaria irrogata alla società dotata di personalità giuridica. Ciò in quanto per l’applicazione del divieto del ne bis in idem è necessario che sia la stessa persona ad esser sottoposta ad una doppia sanzione per uno stesso fatto. Da qui il rigetto del ricorso.