La contestazione di dividendi non dichiarati in capo ai soci di una società a ristretta base azionaria è legittima in presenza di ricavi occultati da parte dell’impresa e non anche di costi non deducibili in quanto viene a mancare la necessaria provvista finanziaria di cui si presume la illecita distribuzione. In ogni caso, se il socio è, a sua volta, una società di capitali occorre osservare, nella determinazione dell’imponibile dei dividendi presuntivamente distribuiti, le regole del Tuir non potendosi contestare direttamente in capo alla persona fisica considerata beneficiaria effettiva, tutte le somme. Ne consegue che l’ufficio deve prima rettificare la dichiarazione della società/socia e successivamente, a cascata, quella del socio persona fisica. Sono questi alcuni dei principi espressi dalla Ctp di Reggio Emilia nella sentenza n. 173 del 23 agosto 2019. IL FATTO A una società di capitali venivano, tra l’altro, disconosciuti costi perché ritenuti afferenti a fatture per operazioni inesistenti. La società era partecipata da una persona fisica e da un’altra società: il socio di riferimento di quest’ultima, era, a sua volta, la stessa persona fisica. Ritenendo sussistente una ristretta base azionaria, l’ufficio imputava alla sola persona fisica l’imponibile relativo ai costi indeducibili considerandoli utili illecitamente distribuiti e non dichiarati. In sostanza l’ufficio non considerava che la maggior parte della partecipazione nella società accertata era detenuta, da un’altra società, ritenendo la persona fisica il beneficiario effettivo di tutta la somma. Il ricorso presentato dal socio, unificato con quello della società, almeno in merito a questa contestazione, è stato accolto. LA DECISIONE DELLA CTP REGGIO EMILIA Secondo la Ctp occorre confermare il consolidato orientamento della Cassazione in base al quale è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati in capo ad una società di capitali a ristretta base partecipativa, conseguenti a ricavi non contabilizzati. Tuttavia, rileva la sentenza, il principio fonda la sua “credibilità” quando a carico della società a ristretta base, l’utile extracontabile accertato sia conseguente a maggiori ricavi imponibili e non a minori costi deducibili. Infatti è solo dai maggiori, eventuali, ricavi “in nero” che i soci possono trarre la provvista per dividersi l’utile extra contabile non certo dai minori costi deducibili che, di per sé, non creano provvista finanziaria. Nella specie, trattandosi di costi indeducibili, la pretesa dell’amministrazione deve considerarsi illegittima. In ogni caso, pur ritenendo fondate le tesi dell’Agenzia, esse, evidenziano i giudici, si palesano comunque illegittime perché non considerano che un socio era, a sua volta, una società di capitali. Pur ritenendo beneficiario effettivo dei dividendi, assunti come distribuiti in nero, la persona fisica, l’ufficio avrebbe dovuto emettere un avviso di accertamento a carico della società/socia accertando il maggior reddito, e poi, a cascata, rettificare la dichiarazione della persona fisica. Nella specie, invece, l’Agenzia, nella prospettiva di imputare il maggior reddito direttamente al beneficiario effettivo, ha ignorato il rispetto della corretta procedura che ha conseguenze rilevanti nella quantificazione del debito d’imposta a carico del socio persona fisica. La distribuzione di dividendi da società di capitali a società di capitali (socia) avrebbe infatti scontato un imponibile decisamente ridotto rispetto a quello direttamente imputato alla persona fisica.