Ctr Lombardia - Sentenza n. 3394/1/2019 La cartella di pagamento emessa dall’amministrazione finanziaria al fine di riprendere a tassazione gli interessi sospesi in seguito ad un provvedimento cautelare del giudice non si sottrae all’obbligo della motivazione del provvedimento tributario dovendo, pertanto, riportare nel dettaglio addebiti non soltanto l’importo che sarebbe dovuto a titolo di interessi da sospensione ma indicando altresì il capitale sul quale tali interessi sono commisurati. Questo il principio che emerge dalla sentenza della Ctr Lombardia n. 3394/1/19 del 4 settembre 2019 (pres. Labruna/rel. Aondio). È bene sempre ricordare che nell’ordinamento tributario la motivazione degli atti viene tutelata, in particolare, dai principi espressi nello Statuto dei diritti del contribuente (legge 212/2000), i quali si ispirano alle garanzie costituzionali e richiamano le norme caratterizzanti la legge sul procedimento amministrativo in generale (legge 241/1990). In tale quadro normativo la motivazione dell’atto tributario rappresenta uno strumento essenziale di garanzia del contribuente, soggetto inciso nella propria sfera giuridica dall’amministrazione finanziaria nell’esercizio del suo potere di imposizione fiscale, e assolve l’essenziale funzione di garantire la conoscenza e l’informazione dello stesso contribuente in ordine ai fatti posti a fondamento della pretesa fiscale e ai presupposti giuridici della stessa, in un’ottica di collaborazione, trasparenza e buona fede che devono improntare, in quanto espressivi di civiltà giuridica, i rapporti tra esso e l’amministrazione (ex multis Ctr Lombardia n. 2991/2017). In linea generale il dibattito giurisprudenziale sulla differenza del contenuto della motivazione fra gli atti di accertamento del tributo e quelli della riscossione si può dire abbia segnato nel tempo “un punto fermo” ovvero nel ritenere che l’obbligo per i secondi debba essere adempiuto alla stregua del primo (motivazione rafforzata) solo nell’ipotesi in cui esso costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, dovendo all’uopo contenere gli elementi indispensabili per consentire allo stesso di effettuare il necessario controllo sulla correttezza dell’imposizione (ex multis Ctr Lombardia n. 3673/2018); al di là di questa ipotesi gli atti della riscossione possono essere anche motivati sinteticamente (motivazione leggera). La controversia qui commentata si colloca nella casistica della “motivazione leggera” ma viene comunque annullata dai giudici tributari la cartella di pagamento emessa dall’Ufficio per vizio di motivazione. Entrando nel vivo della vicenda essa afferiva l’impugnazione da parte di un contribuente di una cartella riportante l’iscrizione a ruolo di interessi (“da sospensione”) per alcune annualità in virtù del provvedimento cautelare con il quale il giudice di prime cure aveva sospeso l’esecutività dei prodromici avvisi di accertamento opposti e oggetto di separato giudizio. Nella sentenza di primo grado, relativamente al giudizio sugli avvisi impugnati, la Ctp accoglieva parzialmente il ricorso riducendo il reddito e invitando l’Ufficio a suddividere l’importo nei singoli periodi di imposta per la determinazione delle imposte di ciascun anno; l’amministrazione provvedeva ad effettuare gli sgravi per gli importi non riconosciuti in sentenza ed iscriveva a ruolo i detti interessi da sospensione con l’emissione della cartella contestata dal contribuente. Quest’ultimo, in via principale e sulla motivazione, eccepiva il vizio dell’atto riscossivo quanto a intellegibilità non essendo stati indicati gli importi capitali sui quali calcolare gli interessi e neppure il tasso applicato per ogni singola annualità; l’Ufficio, invece, ribadiva la liceità del proprio operato in quanto la cartella era sufficientemente motivata riportando chiaramente la dicitura «somme dovute a titolo di interessi da sospensione per il periodo … a seguito di revoca sospensione n.…» nonché che il tasso di interesse fosse facilmente individuabile in quanto stabilito dalla legge. I giudici provinciali decidevano di accogliere, con carattere assorbente, le doglianze del ricorrente e affermavano «che il contribuente deve essere portato esattamente a conoscenza delle modalità di calcolo adottate per pervenire all’importo totale della cartella». I giudici regionali confermano il decisum di prime cure e quindi il vizio di motivazione della cartella di pagamento opposta sottolineando che l’Ufficio avrebbe dovuto ripartire il reddito, come rideterminato dalla Ctp nelle diverse annualità, ricalcolare per ciascun anno la relativa imposta e solo all’esito di questo procedimento conteggiare sull’importo delle imposte così rideterminato gli interessi da sospensione relativi ad ogni singola annualità. Ciò non era avvenuto in quanto, nel dettaglio addebiti, risultava essere stato indicato per ciascun anno soltanto l’importo che sarebbe stato dovuto a titolo di interessi da sospensione senza alcuna indicazione in ordine al capitale sul quale gli interessi dovevano essere commisurati.