Corte di Giustizia Ue - Causa C‑366/18 La Corte di Giustizia Ue è intervenuta nella causa C-366/18 relativamente al rifiuto da parte di una società di Madrid di concedere ad un suo dipendente il diritto di lavorare ad un orario fisso per prendersi cura dei figli in attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego. La Corte di Giustizia ricorda innanzi tutto che: - ai sensi dell’art. 37, paragrafo 6, comma 1, dello Statuto dei lavoratori Spagnolo, chiunque si occupi direttamente, per motivi di tutela legale, di un minore di età inferiore a dodici anni o di una persona affetta da disabilità che non esercita un’attività retribuita ha diritto a una riduzione dell’orario di lavoro pari nel minimo a un ottavo e nel massimo alla metà della durata del medesimo, con una corrispondente riduzione della retribuzione; - la direttiva europea n. 2010/18 deve essere interpretata alla luce del principio di uguaglianza tra donne e uomini e del diritto alla vita familiare, sanciti all’art. 23 e all’art. 33, paragrafo 2, della Carta; - l’art. 37, paragrafo 6, dello Statuto dei lavoratori stabilisce una discriminazione indiretta nei confronti dei lavoratori di sesso femminile, ai sensi dell’art. 2, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva. Nella causa in esame il lavoratore, il cui regime di lavoro abituale è a turni con un orario variabile, intende beneficiare di un adeguamento dell’orario di lavoro per poter lavorare ad un orario fisso. L’unica disposizione dell’accordo quadro sul congedo parentale relativa alle modifiche dell’orario di lavoro è la clausola 6, punto 1, di quest’ultimo, ai sensi della quale gli Stati membri e/o le parti sociali prendono le misure necessarie per garantire ai lavoratori che “tornano dal congedo parentale” la possibilità di richiedere modifiche dell’orario lavorativo e/o dell’organizzazione della vita professionale per un periodo determinato. La Corte rileva che né la direttiva 2010/18 né l’accordo quadro sul congedo parentale contengono disposizioni che possono imporre agli Stati membri, nell’ambito di una domanda di congedo parentale, di accordare al richiedente il diritto di lavorare ad un orario fisso allorquando il suo regime di lavoro normale è a turni con un orario variabile. Alla luce di quanto rilevato la Corte dichiara che “la direttiva 2010/18 deve essere interpretata nel senso che essa non si applica a una normativa nazionale [...] che prevede il diritto per un lavoratore, al fine di prendersi direttamente cura di minorenni o di familiari a carico, di ridurre il proprio orario di lavoro quotidiano, con riduzione proporzionale della retribuzione, senza potere, quando il suo regime di lavoro normale è a turni con un orario variabile, beneficiare di un orario di lavoro fisso, mantenendo il proprio orario di lavoro quotidiano”.