Il nuovo Governo ha posto, tra i punti del proprio programma, l’implementazione delle misure in materia di equo compenso “dei lavoratori non dipendenti”. Questo obiettivo è uno di quelli nei quali si manifesta un’oggettiva continuità tra Esecutivo uscente e nuovo Governo, con la probabilità che simili, se non identiche, rimarranno anche le linee di intervento che verranno percorse. Disciplina vigente L’equo compenso è stato introdotto, per la prima volta, nel 2017, con un intervento sulla legge professionale forense, poi esteso ai professionisti indicati dall'articolo 1 della L. 81/2017 (il “Jobs Act del lavoro autonomo”) attraverso il decreto fiscale dello stesso anno (D. L. 148/2017), a sua volta parzialmente modificato dalla legge di Bilancio 2018. Dal punto di vista “soggettivo”, l’equo compenso diviene (diverrebbe) un diritto di tutti i lavoratori autonomi (iscritti o meno in Albi professionali). Tuttavia, dal punto di vista “oggettivo” tale istituto oggi non è previsto per tutte le tipologie di rapporti professionali di cui sono parti tali soggetti, perché la sua applicazione è limitata ai rapporti regolati da convenzioni unilateralmente predisposte dai “clienti forti”: ossia quei soggetti spesso (ma non necessariamente) di grandi dimensioni economiche e organizzati in forma societaria che, pertanto, assumere una posizione dominante squilibrando la parità tra i contraenti (si pensi a banche, assicurazione, ecc.). Quindi, la legge sull’equo compenso non si applica ai rapporti tra lavoratore autonomo e semplice cittadino, nei quali il legislatore presume un rapporto più paritario (o meno sbilanciato) tra le parti. La disciplina si applicherebbe anche ai rapporti con la PA, anche se, ai sensi del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/16 e s.m.i.), l’affidamento dei servizi di consulenza professionale avviene – di regola – tramite gara pubblica fondata su un capitolato ed una base d’asta: ma su questo aspetto torneremo. Le norme sull’equo compenso prevedono che le clausole dalle quali discenda un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista devono considerarsi vessatorie e, quindi, nulle, fermo che: - il contratto rimane valido per il resto; - la nullità opera solo a vantaggio del professionista. Il compenso si considera equo, quando risulta proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione, oltre che conforme ai parametri, previsti, per ciascuna professione (per quelle ordinistiche), dal relativo decreto ministeriale, lasciando, quindi, un vuoto, per quanto attiene ai lavoratori autonomi non ordinistici. Tornando alle controparti pubbliche, a fronte del principio generale, l’art. 19-quaterdecies della L. 172/17 dispone che la pubblica amministrazione, “garantisce il principio dell'equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti”, ma anche che “dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Limiti della disciplina e prime implementazioni Sin dal varo della disciplina, le rappresentanze dei professionisti, pur apprezzando questo “primo passo”, hanno segnalato molteplici limiti e punti di caduta della normativa, in termini di scarsa applicabilità e “giustiziabilità” e, soprattutto, in relazione all’eccessiva limitazione delle controparti tenute al suo rispetto: anche, ma non solamente, in relazione alla particolare formulazione della normativa in relazione alla PA ed al suo quadro normativo di riferimento. E’ stata, quindi, avviata un’interlocuzione tra il Ministero della Giustizia ed il mondo delle professioni che ha portato all’attivazione di un primo tavolo tecnico alla fine del 2018. Per altro verso, ha dato luogo ad approfondimenti e studi da parte delle rappresentanze categoriali del lavoro autonomo, tesi, per un verso, a sviluppare aggiornamenti della disciplina normativa e, per altro verso, al monitoraggio dei bandi pubblici che prevedevano compensi irrisori (e talvolta nulli) per prestazioni professionali. Nel frattempo, alcuni dei limiti e degli "spazi di implementazione" della disciplina dell'equo compenso sono stati colmati - in maniera variegata e con distinte declinazioni locali - attraverso l'adozione, da parte di 6 Regioni (Piemonte, Toscana, Campania, Basilicata, Calabria e Lazio) di una legislazione regionale ad hoc che, tuttavia, in quanto tale, trova applicazione esclusiva per i rapporti contrattuali in ambito locale. Infine, tra il giugno ed il luglio del 2019, si è mosso anche il precedente (ed attuale) Ministro della Giustizia. Con D.M. 27 giugno 2019 è stato istituito un tavolo tecnico – che ha iniziato i suoi lavori già il 3 luglio scorso in tema di equo compenso relativo alle professioni ordinistiche, con l’obiettivo di formulare “proposte legislative” volte a garantire “uniformità e coerenza” ai compensi dei liberi professionisti, con un particolare focus sui rapporti con il committente pubblico. Gli aspetti principali sui quali il “Tavolo” è chiamato ad operare i propri approfondimenti, sono: - l’estensione tout court e senza ambiguità della disciplina dell’equo compenso alla PA con esplicitazione del divieto di conclusione di contratti “a compenso zero” o palesemente irrisorio; - la estensibilità dell’equo compenso a tutte le imprese con più di 50 dipendenti o fatturato superiore a 10 milioni di Euro; - una “correlazione diretta” dell’equo compenso al sistema dei parametri ministeriali previsti per le professioni ordinistiche, con un loro contestuale e periodico aggiornamento; - l’applicabilità dell’equo compenso a qualsiasi di accordo vincolante per il professionista, le cui clausole siano predisposte in maniera unilaterale dalle imprese, quale che ne sia la veste giuridica; - l’estensione del regime delle clausole vessatorie alla PA, precisando la distinzione tra mera valutazione di “non equità” del compenso e dichiarazione di vessatorietà delle relative clausole, al fine di evitare la subordinazione dell’intervento giudiziale alla presenza cumulativa di entrambi i profili, con conseguente riduzione delle tutele giudiziali per i professionisti. Il decreto fissa al 31 dicembre prossimo il termine di conclusione dei lavori. Cosa farà il nuovo Governo In un passaggio del discorso con il quale ha chiesto la fiducia alla Camera dei Deputati, il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte ha espressamente affermato, tra l’altro: “vogliamo individuare il giusto compenso per i lavoratori non dipendenti, al fine di evitare forme di abuso e di sfruttamento che solitamente affliggono i più giovani professionisti”. Questa sintetica indicazione programmatica non consente di immaginare con quali modalità ed in che termini il Governo intenda concretizzare tale volontà, né in che tempi e termini intenda farlo. Allo stesso modo, però, è plausibile ritenere che non venga “bloccato” il lavoro del Tavolo istituito dal D.M. sopra citato e che, anzi, tale gruppo di lavoro tragga nuovo impulso dall’affermazione del Premier. D’altra parte, va sottolineato come il Tavolo i cui lavori sono in corso sembra avere un mandato più limitato, rispetto a quello che può evincersi dalla dichiarazione programmatica sopra riportata. Infatti, secondo il mandato ricevuto con il decreto ministeriale istitutivo, alla implementazione della (sola) disciplina rilevante per i liberi professionisti organizzati in Ordini e Collegi, mentre il Presidente Conte, nel suo discorso, ha fatto espresso riferimento a tutti i “lavoratori non dipendenti”. Tecnicamente parlando, la platea indicata avanti alla Camera è ben più ampia (e diversificata) rispetto ai soli professionisti ordinistici; ed è caratterizzata da peculiarità proprie e, peraltro, anche da profili di “debolezza contrattuale” diversi e forse maggiori, rispetto alla situazione dei professionisti ordinistici. Si peni, per fare un solo esempio, che i lavoratori non dotati di Albo non hanno il riferimento giuridico ed economico dei “decreti parametri” e, quindi, per loro, l’individuazione dei criteri per l’identificazione di compensi “equi” è sicuramente più complessa. Sarà quindi necessario, per concretizzare l’obiettivo programmatico del Governo, alternativamente: ampliare il mandato dei gruppi di lavoro già attivati, ovvero prevedere che – in parallelo – vengano individuate, con le stesse modalità “partecipative” o anche con appositi “approfondimenti d’ufficio” da parte del Governo, specifiche disposizioni che – nei fatti – pervengano efficacemente al dichiarato obiettivo di implementare in misura sostanziale, equa e, pertanto, integrale, la disciplina dell’equo compenso in favore di tutti i lavoratori “non dipendenti” (per usare l’espressione del Premier) e non solamente, come spesso accade, per i soli professionisti ordinistici.