I canoni per l’affitto di azienda non costituiscono reddito fondiario e pertanto non è possibile la tassazione indipendentemente dalla effettiva percezione. Inoltre se il concedente è una società commerciale non perde la qualifica di imprenditore e quindi i canoni riscossi concorreranno a formare il reddito d’impresa e non rientreranno nella categoria dei redditi diversi. Questi i principi stabiliti dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 23851 del 25 settembre 2019. IL FATTO L’Ufficio notificava ad una Srl un avviso di accertamento con il quale contestava, tra l’altro, l’omessa contabilizzazione di parte dei canoni risultanti da contratto di affitto di azienda. A seguito di ricorso, l’atto impositivo era annullato dalla CTP, la quale riteneva che la documentazione prodotta dalla contribuente dimostrasse che nell’annualità in questione i canoni effettivamente percepiti corrispondessero a quelli dichiarati e non a quelli (maggiori) originariamente pattuiti. L’Ufficio proponeva appello, accolto dalla CTR, la quale motivava la propria decisione sul fatto che i redditi fondiari, ex art. 26 Dpr 917/1986, concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente indipendentemente dall’effettiva percezione; peraltro, aggiungevano i giudici, non vi era prova di alcun provvedimento giudiziale che attestasse la parziale insolvenza della conduttrice rispetto ai canoni pattuiti. La Srl impugnava la pronuncia di secondo grado eccependo che la tassazione dell’affitto di azienda nella specie rientrava nel reddito d’impresa, con conseguente inapplicabilità della disciplina dei redditi fondiari. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della contribuente, cassando con rinvio la sentenza di appello. Come stabilito dalla costante giurisprudenza di legittimità, il concetto di reddito fondiario è inscindibilmente legato a quello di reddito da fabbricato derivante dalla locazione dell’immobile ed in particolare dalla titolarità di un diritto reale sullo stesso. Il presupposto di tassazione del reddito fondiario è quindi detta titolarità, non rilevando né il criterio di cassa, né di competenza, né l’effettiva percezione delle somme. La vicenda oggetto del giudizio, però, verteva nella diversa ipotesi di canoni d’affitto d’azienda, il cui contratto comporta effetti diversi a seconda se il concedente mantenga o meno la qualifica di imprenditore. Nel caso in cui si tratti di società commerciale, come era la Srl ricorrente, a seguito dell’affitto non si perde tale qualifica: i canoni, oltre ad essere assoggettati ad Iva, concorrono quindi a formare il reddito d’impresa e la base imponibile Irap, come componenti positivi. Pertanto non era applicabile l’art. 26 Dpr 917/1986, non trattandosi di redditi fondiari. Differente, precisa la Suprema Corte, sarebbe stato il caso in cui il concedente fosse stato un imprenditore individuale che affittava la propria unica azienda: ciò avrebbe comportato la perdita della qualifica di imprenditore e non sarebbero quindi più stati applicabili i criteri di deducibilità previsti per il reddito d’impresa in relazione ai canoni, atteso che detta impresa era cessata con il subentro del terzo. In conclusione la CTR era incorsa nel vizio di violazione di legge ed in particolare di un errore di sussunzione, che si era tradotto in una falsa applicazione della norma che regolava la fattispecie.