ISA 2019, avanti tutta. A leggere la risposta data dal sottosegretario all’ Economia Baretta, il 25 settembre 2019, al question time 5-02753 in Commissione VI finanze della Camera è questa la “triste” realtà che emerge. Almeno per ora, dunque, sembra chiudersi ogni spiraglio di proroga o di applicazione facoltativa e, men che meno, di sospensione del nuovo strumento. E, sempre ad oggi, nessun vero effetto sembra sortire l’imminente sciopero proclamato dai commercialisti (il primo nella storia indetto da tale categoria professionale), che si terrà proprio a ridosso della scadenza del versamento, fissata il 30 settembre. Come si è arrivato sino a questo punto, specie per gli addetti ai lavori, è cosa abbastanza nota. Ma, alla luce dell’ultima presa di posizione del Mef, e prima di approfondirne il contenuto, può essere utile fare un breve riepilogo. Il “problema ISA” La nascita degli ISA è stata vista come una svolta epocale per il rapporto fisco-contribuente. La filosofia di base, almeno sulla carta, è semplice: tu contribuente ti comporti correttamente e io Amministrazione finanziaria valuto il tuo operato e ti assegno un voto che, se alto, ti rende “affidabile” e, quindi, meritevole di essere premiato con alcuni vantaggi fiscali. Si puntava ad una netta discontinuità con il passato, in quanto gli ISA, rispetto ad altri strumenti di ricostruzione presuntiva dei ricavi e dei compensi utilizzati in precedenza, avrebbero dovuto fornire un giudizio più coerente con la complessità della “vita fiscale” dei contribuenti e, come accennato, avrebbero dovuto individuare, su una scala di valori, la relativa affidabilità fiscale. Ma già dalla prime settimane dal rilascio del software applicativo (“il tuo ISA”), sono emerse le prime difficoltà accompagnate da alcuni risultati “strani”. Infatti, non sono pochi i casi di contribuenti sempre congrui e coerenti per gli studi di settore che si sono ritrovati con voti ISA bassissimi ed insufficienti e viceversa. Certo gli algoritimi di calcolo sono diversi da quelli utilizzati in passato per gli studi di settore e cambiano anche tante altre cose rispetta a questi (ad esempio, gli ISA non sembrerebbero tener conto dei correttivi congiunturali legati alla crisi economica). Tutto ciò, però, non ha fatto che alimentare il sospetto che la stessa Amministrazione fosse, in qualche modo in difficoltà nella gestione del nuovo strumento. E allora perché insistere nel dover applicare a tutti i costi uno strumento così “inaffidabile”? Non sarebbe meglio renderlo facoltativo, almeno nei casi di insufficienza, così da lasciare intatto il regime premiale? O, addirittura, perché non pensare ad un suo “congelamento” almeno per quest’anno? E’ ciò che si sono chiesti in tanti, sia contribuenti che professionisti. Richieste che, partite dagli organi istituzionali e sindacali dei commercialisti, sono state via via sempre più insistenti, ma sempre cadute nel vuoto. La posizione del MEF Il MEF, chiamato in causa, si era già espresso alcune settimane fa. Sollecitato non solo dalle associazioni sindacali dei commercialisti, ma anche da alcuni garanti regionali dei contribuenti, aveva affermato l’impossibilità di disapplicare gli ISA, né tantomeno di renderli facoltativi per il 2018. In caso di disapplicazione paventava una penalizzazione per “i contribuenti “virtuosi” che sarebbero rimasti esclusi dalla fruizione dei benefici premiali e, al contempo, di fatto, l’Agenzia delle entrate sarebbe stata privata di un efficace strumento ai fini dell’analisi di rischio di evasione fiscale utile a definire specifiche strategie di controllo”. Né si poteva pensare ad una applicazione facoltativa perché ci sarebbero stati effetti negativi sul contrasto all’evasione fiscale. Ma ciò non aveva placato gli animi, anzi li ha inaspriti ancora di più tanto da arrivare, come già detto, alla proclamazione dello sciopero di categoria. E si è arrivati all’ultima (ma si spera, non definitiva) puntata di questa telenovela: il Mef, nella persona del sottosegretario Baretta, in data 25 settembre 2019, in risposta ad un question time (n. 5-02753) in Commissione VI Finanze della Camera in merito ad eventuali iniziative volte a risolvere le criticità e, in particolare, alla possibilità di applicazione facoltativa per il 2018, ha spento ogni speranza. Nella risposta (concordata con l’Agenzia delle entrate) si afferma sostanzialmente che: - le revisioni del software “hanno riguardato solo un numero ridotto di indici e comunque, non hanno avuto impatto alcuno sui calcoli”; - la modifica recata dal D.M. 9 agosto 2019 si limita ad esplicitare aspetti afferenti le variabili precalcolate, già precedentemente definiti nel D.M. 27 febbraio 2019”; - quanto alle anomalie riscontrate, come affermato nella circolare n. 20/E del 9 settembre 2019, non c’è alcun obbligo di modificare i dati precalcolati; - gli ISA sono molto più semplici degli studi di settore, richiedono meno dati e si applicano ad una platea minore di contribuenti; - le note aggiuntive rappresentano un importante ausilio per fornire all’Agenzia elementi di valutazione atti ad indirizzare la propria attività di controllo sulle posizioni più a rischio; - non c’è alcun automatismo di accertamento nei confronti dei contribuenti “inaffidabili”. Quindi, al netto dell’ultima positiva affermazione relativa alla disattivazione dell’automatismo sui controlli, si assiste ad un arroccamento su posizioni ormai irremovibili da parte dell’Amministrazione finanziaria. Non si intravede alcun via d’uscita: per il 2018 resta tutto confermato. Sicuramente su tutto pende una vera e propria spada di Damocle: la preoccupazione di non raggiungere gli obiettivi di gettito prefissati (si stima almeno un gettito pari a quello avuto in passato con gli studi di settore). E, forse, al di là di ogni ragionevole dubbio, è questa la vera “ragion di Stato” che può giustificare una tale incomprensibile insistenza a lasciar tutto così com’è.