Il sindacato del giudice tributario su un provvedimento di diniego di annullamento in autotutela di un atto tributario divenuto definitivo è consentito solo se ricorrono ragioni - originarie o sopravvenute - di rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto. Diversamente, ha chiarito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 24032 del 26 settembre 2019, sono escluse tutte le contestazioni riguardanti vizi dell’atto impositivo che devono essere avanzate in sede di impugnazione prima che l’atto divenga definitivo. IL FATTO L’Agenzia delle Entrate notificava ad un contribuente due avvisi di accertamento, per recuperare a tassazione i maggiori ricavi per i periodi d’imposta 2002 e 2003. Detti atti impositivi diventavano definitivi, in quanto non venivano impugnati ma erano oggetto di un’istanza di annullamento in autotutela per l’illegittimità derivante da vizi originari, nonché per la sopravvenienza di fatti nuovi e successivi alla rispettiva emissione. L’Ufficio rigettava la domanda di autotutela, confermando così la pretesa fiscale. La società, quindi, impugnava il provvedimento di diniego innanzi alla CTP, che ne accoglieva le doglianze, annullando gli avvisi di accertamento. La decisione veniva, però, riformata in appello dalla CTR, che ne sosteneva invece la legittimità, asserendo in buona sostanza, la non impugnabilità del provvedimento di diniego di annullamento in autotutela. Avverso detta sentenza la difesa del contribuente proponeva ricorso in Cassazione. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal contribuente. In via preliminare i giudici hanno chiarito che la categoria degli atti impugnabili, a norma dell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, è aperta, a nulla rilevando che non ricomprende il provvedimento di diniego di annullamento in autotutela. La ragione risiede nel contenuto dell’atto: il diniego dell’annullamento in autotutela non porta a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, con la relativa esplicazione delle ragioni concrete che la sorreggono. L’autoannullamento tributario, prosegue la Corte sulla scorta dei chiarimenti della Corte Costituzionale, non costituisce un vero e proprio mezzo di difesa del contribuente, bensì è un atto pienamente discrezionale quale espressione di un bilanciamento di interessi coinvolti. Pertanto, il sindacato sull’atto di diniego è ammesso solo per la censura di eventuali profili di illegittimità del rifiuto, legati a ragioni di rilevante interesse generale, che giustifichino l’esercizio di detto potere. Tale conclusione è altresì supportata da un consolidato orientamento formatosi sul punto (ex multis Cass. n. 21146/2018), secondo il quale la richiesta del contribuente rivolta all’Amministrazione di ritirare in autotutela un provvedimento deve essere fondata sulla prospettazione di un interesse di rilevanza generale alla rimozione dell’atto e non sulla fondatezza della pretesa tributaria. Altrimenti, precisano i giudici della Corte, si assisterebbe a un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o a un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo. Nel caso di specie, il contribuente impugnava il diniego di annullamento per vizi originari e per sopravvenienza di fatti nuovi successivi all’emissione. Da qui il rigetto del ricorso.