Il reato di omesso versamento Iva scatta anche se il debito di imposta è generato dall’emissione di fatture che seguono il regime di competenza e, quindi, a prescindere dall’effettivo incasso. A confermare questo rigoroso principio è la Corte di cassazione, sezione 3 penale con la sentenza n. 41070 del 7 ottobre 2019. IL FATTO Un imprenditore veniva condannato nei due gradi di giudizio per il reato di omesso versamento Iva. Nei processi si era difeso eccependo che nei suoi confronti non era sorto l’obbligo di versamento Iva, in quanto le fatture che generavano il debito Iva erano state emesse secondo il principio di competenza e non erano state riscosse. Evidenziava inoltre che, con la liquidità disponibile, aveva fatto fronte al pagamento delle retribuzioni dei dipendenti. A seguito della condanna in appello, il contribuente ricorreva in cassazione ribadendo, in buona sostanza le medesime ragioni. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, evidenziando che si tratta di un reato omissivo a carattere istantaneo, consistente nel mancato versamento all’erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale ed è ordinariamente svincolato dalla effettiva riscossione dei corrispettivi indicati in fattura. L’obbligo di indicazione della dichiarazione annuale e conseguentemente del versamento è stato soprattutto sino ad oggi, secondo i giudici, ordinariamente svincolato (fatta salva l’applicazione dei regimi per cassa) dall’effettiva riscossione delle somme. Ne consegue che se, l’emissione della fattura è antecedente al pagamento del corrispettivo, il contribuente si espone all’obbligo di versamento, non potendo dedurre il mancato pagamento della fattura quale causa di forza maggiore o assenza dell’elemento soggettivo. Nella specie, avendo il contribuente applicato il regime per competenza, lo obbligava al versamento Iva a prescindere dalla riscossione delle somme risultando del tutto irrilevante l’esistenza di crediti non riscossi. Infine per quanto concerne il pagamento delle retribuzioni ai dipendenti che avrebbe impegnato la liquidità disponibile, la Cassazione conferma che tale circostanza non costituisce una scriminante. Solo infatti nelle procedure esecutive e fallimentari opera il principio della par condicio creditorum e quindi l’ordine di preferenza in tema di crediti prededucibili che impone l’adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente rispetto a i crediti erariali. Detto principio non può essere richiamato in contesti diversi. La pronuncia si allinea a un rigoroso orientamento di legittimità abbastanza consolidato che tuttavia lascia perplessi, soprattutto nel caso dell’applicazione (obbligatoria) del principio di competenza. Innanzitutto, pare emergere dalla lettura della sentenza (e delle massime richiamate) il convincimento dei giudici secondo il quale il regime per competenza sia quasi opzionale: con la conseguenza che - avendolo scelto - il contribuente si è assunto anche il rischio di dover dichiarare (e versare) ciò che non ha incassato. È noto invece che, ad esempio, i titolari di reddito di impresa sono obbligati all’osservanza di detto principio. Non viene poi considerato che le Sezioni Unite, per escludere la causa di forza maggiore o l’assenza di elemento soggettivo nei reati di omesso versamento, hanno fatto riferimento ad un obbligo di accantonamento dell’imposta incombente sull’imprenditore che, nel caso di applicazione del regime di competenza non avrebbe molto senso.