Il reato di omesso versamento IVA richiede la sola consapevolezza di non adempiere all’obbligazione tributaria, in assenza di fini specifici. Pertanto, la decisione di impiegare le risorse liquide per garantire la continuità dello svolgimento dell’attività di impresa, con l’obiettivo di conseguire utili da impiegare per il pagamento dell’imposta, non integra il reato, poiché il soggetto agente non è cosciente della mancanza di risorse economiche da destinare alla scadenza tributaria. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 42522 del 16 ottobre 2019. IL FATTO Un contribuente era indagato per aver commesso il reato di omesso versamento IVA, in violazione dell’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000. Secondo gli inquirenti aveva omesso di presentare entro il termine stabilito per il versamento dell’acconto dell’imposta, l’IVA dovuta per i periodi d’imposta 2010 e 2011. Il processo si concludeva con la condanna in primo grado. La difesa del contribuente impugnava detta sentenza innanzi alla competente Corte di Appello, alla quale rappresentava l’illegittimità della pronuncia, sulla scorta della dubbia presenza della volontà dell’indagato di evadere il Fisco. Le doglianze venivano accolte e l’imputato era assolto perché il fatto non costituiva reato. Avverso detta decisione, proponeva ricorso in Cassazione il Procuratore Generale della Corte di Appello. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso. I giudici di legittimità, in via preliminare, asseriscono che l’elemento soggettivo del reato di omesso versamento IVA è il dolo generico. In altre parole, occorre la mera consapevolezza dell’illegittimità della condotta, senza alcun rilievo dei motivi della scelta dell’agente di non versare il tributo. Nel caso di specie, l’insussistenza del dolo generico veniva adeguatamente provata dalla difesa, sulla base dell’assunto che l’imputato aveva scelto di provvedere al pagamento dei dipendenti e dei fornitori in una prospettiva di continuità aziendale. In questi termini, puntualizza la Corte, la prosecuzione dell’attività lavorativa, in una proiezione ideale degli eventi, avrebbe da un lato consentito la produzione degli utili e dall’altro il conseguimento della liquidità necessaria finalizzata al pagamento della pretesa fiscale. È dunque evidente la totale insussistenza della volontà da parte dell’imputato della condotta omissiva, in quanto lo stesso non aveva rappresentato la mancanza delle risorse, ma al contrario il futuro conseguimento delle stesse. Da qui il rigetto del ricorso.