Con l’ordinanza n. 26983 del 22 ottobre 2019, la Corte di Cassazione ha chiarito, confermando un orientamento costante, che l'IVA relativa ad un'operazione inesistente deve essere versata dal fornitore se la fattura è stata consegnata al cliente e non può essere rettificata con l'emissione di una nota di credito. Ciò in quanto si tratta di un obbligo previsto dalla direttiva comunitaria puntualmente recepito dall’ordinamento nazionale. IL FATTO Una società riceveva un avviso di accertamento ai fini IVA relativo a operazioni soggettivamente inesistenti. Avverso tale avviso, la società contribuente proponeva ricorso. La CTP rigettava il ricorso. In appello, la CTR accoglieva il gravame. Avverso la pronuncia, l'Ufficio ricorreva per Cassazione censurando la decisione impugnata per aver annullato la ripresa a tassazione relativa all'IVA non versata con riguardo alle fatture emesse dalla società contribuente sottese ad operazioni soggettivamente inesistenti, sull'assunto che l'Ufficio non avrebbe provato la partecipazione della società contribuente al meccanismo fraudolento ed evidenziando che nella specie i giudici del gravame avessero errato nel ritenere sussistente una ipotesi di detrazione su fatture passive. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha preliminarmente precisato che - sulla base di quanto previsto dall'art. 21, comma 7, D.P.R. n. 633/1972 - chiunque indichi l’IVA in una fattura o in ogni altro documento che ne fa le veci è debitore di tale imposta. Nella specie le fatture in questione erano state consegnate al cliente per cui la relativa IVA doveva comunque essere versata. Tale previsione del resto è, per la Suprema Corte, conforme all'art. 21, par. 1, lett. C, della VI Direttiva CEE, trasfuso nell'art. 203 della direttiva n. 2006/112/CE, secondo cui “l'IVA è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura”. In linea con tale disposizione la giurisprudenza comunitaria secondo la quale l'IVA indicata in fattura è dovuta anche quando l'operazione non è soggetta ad imposta e rientra in questo caso sia l'ipotesi dell'operazione effettivamente posta in essere ma illegittimamente considerata imponibile, sia l'ipotesi dell'operazione inesistente. I giudici di legittimità escludono, anche richiamando un orientamento consolidato dalla giurisprudenza interna, la possibilità che l'emittente emetta una variazione in diminuzione di cui all'art. 26, D.P.R. n. 633/1972 al fine di evitare il pagamento dell'IVA addebitata nella fattura emessa a fronte di una operazione inesistente perchè l'operazione sottostante deve essere vera e reale. Di conseguenza il cedente o falso prestatore deve sempre versare l'imposta esposta in fattura mentre l'acquirente o il committente non può in alcun caso portare in detrazione l'IVA per assenza del suo presupposto e cioè l'acquisto di beni o servizi acquistati nell'esercizio dell'impresa, arte o professione. Nella specie la sentenza impugnata aveva solo fatto riferimento al distinto regime relativo al diritto a detrazione IVA per fatture ricevute relative ad operazioni soggettivamente inesistenti. Da qui l’accoglimento del ricorso.