La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27049 del 23 ottobre 2019, ha chiarito che la presunzione dell’imputazione degli utili extra bilancio ai soci di una società di capitali a ristretta base sociale, opera anche nei confronti di quelli dell’ente anch’esso a ristretta base sociale, socio a propria volta della prima. Tale estensione risponde all’esigenza di dare attuazione al divieto di abuso del diritto, la cui violazione non può dirsi esclusa con la mera presenza di un socio persona giuridica nella composizione sociale della società verificata. IL FATTO L’Agenzia delle Entrate notificava ad una società un avviso di accertamento, per recuperare a tassazione Ires, Iva e Irap nonché Irpef in capo ai soci. In particolare, per questi ultimi, la pretesa era fondata sull’assunto che nelle società a ristretta base azionaria, gli utili non dichiarati fossero distribuiti ai soci della medesima e, a quelli di un’altra società a propria volta socia della prima. Il provvedimento veniva immediatamente impugnato innanzi alle Commissioni tributarie competenti, per rappresentare l’irregolare estensione dell’imputazione degli utili ai soci cosiddetti di secondo grado. I giudici di appello ritenevano fondato l’accertamento dell’Ufficio, in riferimento all’omessa applicazione della ritenuta del 12,50% sui predetti utili. Avverso detta sentenza l’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso in Cassazione, per sostenere la legittimità della pretesa fiscale. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate. In particolare, i giudici di legittimità asseriscono che è del tutto legittima la presunzione dell’Amministrazione finanziaria di imputare il riparto degli utili ai soci di una società a ristretta base azionaria e a quelli della società socia della stessa, a fronte della quasi integrale corrispondenza della composizione della compagine sociale. In questi termini, prosegue la Corte, l’affectio familiaris non potrebbe essere esclusa dalla presenza di una formale struttura societaria nella compagine sociale, pena la violazione del divieto dell’abuso del diritto. Questo si traduce in un principio generale antielusivo, volto ad evitare e prevenire ogni conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, in apparenza non contrastante con alcuna specifica disposizione, degli strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in assenza di qualsivoglia ragione economicamente apprezzabile. Nel caso di specie, la scelta organizzativa dal punto di vista civilistico era del tutto legittima, ma questa non consentiva di escludere la ripartizione degli utili extracontabili ai soci di secondo grado, solo per l’esistenza di un socio intermedio persona giuridica, a sua volta con ristretta base sociale. Da qui l’accoglimento del ricorso.