Il settore della consulenza in materia tributaria offre, intuitivamente, grandi prospettive di lavoro per il professionista, anche e soprattutto alla luce del fatto che la materia cambia continuamente e gli intendimenti di semplificazione non si traducono in nulla di veramente concreto: in altre parole, la presenza del professionista del diritto tributario diventa pressocchè obbligatoria per chi non intenda adottare un comportamento di autogestione che rischia di esporlo a conseguenze pecuniarie e penali. Concorso del professionista nel reato del cliente Ha suscitato grande interesse la sentenza della Suprema Corte (n. 36461 del 27 agosto 2019) in tema di configurabilità del concorso, nel reato tributario del contribuente assistito, del consulente fiscale. Il principio di diritto affermato è che per considerarlo corresponsabile dell’illecito, il professionista deve aver dato alla commissione dell’illecito un contributo “concreto, consapevole, seriale e ripetitivo”, idoneo a renderlo “consapevole e cosciente ispiratore della frode”. Una massima così formulata è ragionevolmente adeguata al caso concreto che ha risolto (e che vedeva un consulente fiscale ricorrere avverso un sequestro preventivo - finalizzato alla confisca per equivalente del profitto di plurimi reati tributari - che aveva colpito sia il contribuente sia il professionista). La massima non consente alcuna lettura ottimistica né delinea il formarsi di un orientamento dei giudici di legittimità ispirato a comprensione per il delicato ruolo del professionista. Innanzitutto, entra in gioco l’art. 13-bis, comma 3, D.Lgs. n. 74/2000 secondo cui “le pene stabilite per i delitti di cui al titolo II sono aumentate della metà se il reato è commesso dal concorrente nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale”. La norma, nel prevedere un’aggravante ad personam per il professionista che elabora modelli di “evasione” fiscale, da un lato salva il professionista che escogiti, proponga e commercializzi un modello di “elusione” fiscale, dall’altro dichiara che il professionista risponde senz’altro del reato tributario del contribuente cui abbia dato un contributo “nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale”. Ove non configurabile l’aggravante di cui all’art. 13-bis (comunque non applicabile a reati tributari commessi prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158), rimane la responsabilità per il reato base e quindi l’applicabilità delle sanzioni penali edittalmente previste. Il contributo penalmente rilevante del professionista Il problema diventa, allora, quello del “contributo” penalmente rilevante dato dal professionista al reato commesso dal contribuente. Un primo profilo critico è dato dalla consapevolezza che - ad esempio, per scarsità di liquidi o per ottenere un risparmio fiscale illecito - il cliente contribuente ha deciso di commettere un reato tributario. Il professionista non ha una posizione di garanzia né ha l’obbligo giuridico di impedire l’evento (il che esclude che abbia un obbligo di denuncia a carico dell’assistito per il reato commesso o che costui si accinge a compiere), vede riconoscersi un segreto professionale opponibile alla magistratura inquirente e giudicante (art. 200 c.p.p.), ma deve essere consapevole che anche la mera attività materiale di assemblaggio di dati che sa essere dolosamente incompleti o addirittura fraudolenti potrebbe essergli addebitata a titolo di “contributo” al reato altrui. Decisamente ardua è la difesa in presenza di una attività che va al di là della redazione - sulla base di dati ricevuti - della prescritta dichiarazione dei redditi o dell’IVA. Per esemplificare anche la non prevedibilità dell’approccio della magistratura, si può ricordare il caso del rinvio a giudizio di un professionista, per concorso nel reato dell’assistito, nonostante i dipendenti del contribuente avessero dichiarato che il commercialista - estraneo all’ideazione dell’illecito - aveva da un lato segnalato le irregolarità e, dall’altro, prospettato come rimuoverle prevenendo accertamenti e contestazioni (fattispecie che ha visto la piena assoluzione del professionista imputato: GUP Trib. Fermo, 26 settembre 2019, giudice G. Leopardi). Sul versante opposto, si può ricordare la fattispecie del commercialista chiamato in causa da dichiarazioni testimoniali di alcuni dipendenti e soggetto passivo di un ingente sequestro preventivo annullato dalla Suprema Corte (con la sentenza n. 36461/2019 in esame) che ha stabilito l’insufficienza del mero ruolo di consulente fiscale ad integrare il concorso nel reato tributario e la necessità di una rigorosa motivazione a partire dai provvedimenti applicativi di misure cautelari reali. Il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione rischia interpretazioni svianti laddove sembra richiedere - ai fini del concorso del professionista nel reato altrui - che il contributo, oltre che consapevole, sia “seriale e ripetitivo”. Deve ritenersi che la configurazione del concorso del professionista nel reato tributario non sia affatto legata ad una condotta seriale e che sia sufficiente il contributo fattivo e consapevole ad un solo reato del contribuente. La serialità e ripetitività incideranno sull’entità della pena irrogabile, ma non vanno assolutamente considerati elementi costitutivi (e, quindi, essenziali) del reato tributario attribuito (anche) al consulente fiscale. Il professionista - che deve conoscere le implicazioni della condotta richiestagli, sollecitatagli o da lui stesso proposta - deve essere consapevole che il suo essere dalla parte del cliente non lo esonera da precisi vincoli di comportamento verso lo Stato erario e, più in generale, verso la collettività; che nessun rischio penale può essere compensato da una parcella e che - presentandosi le prime difficoltà - il cliente può trasformarsi nel peggior nemico perché, nell’illusione di salvare se stesso, cerca di trasferire sul consulente fiscale responsabilità che costui non ha o ha in misura inferiore.