La legge di Bilancio 2020 ha lasciato invariato il limite di 65.000 euro di compensi o ricavi previsto per l’accesso al regime forfetario. Si tratta di una scelta senz’altro opportuna, anche in considerazione del fatto che il Consiglio Ecofin dell’8 novembre 2019 ha raggiunto un “orientamento generale” su un'ulteriore semplificazione delle norme IVA applicabili alle piccole imprese, al fine di ridurre gli oneri amministrativi e i costi di conformità ed aiutare a creare un contesto fiscale che contribuisca alla loro crescita e alla maggiore efficienza dei loro scambi transfrontalieri. A tal fine è stato previsto che le piccole imprese possano beneficiare di tale semplificazione qualora il loro volume d'affari annuo rimanga al di sotto di una soglia fissata dallo Stato membro interessato, che non può superare gli 85.000 euro. A determinate condizioni, anche le piccole imprese stabilite in altri Stati membri che non superano tale soglia potranno beneficiare del regime semplificato, qualora il loro volume d'affari annuo totale in tutta l'UE non sia superiore a 100.000 euro. Resta, inoltre, irrilevante l’utilizzo di beni strumentali, non essendo stata reintrodotta la condizione (anch’essa in vigore fino al 2018) del mancato superamento del limite di 20.000 euro di costo complessivo, al lordo degli ammortamenti, dei beni strumentali alla chiusura dell’esercizio. La condizione relativa all’utilizzo di personale L’art. 88, comma 2, lettera b), del disegno di legge di Bilancio 2020 ha inserito nell’art. 1, comma 54, legge n. 190/2014 una nuova lettera b), con la quale è stata reintrodotta la condizione per l’accesso al regime forfetario collegata all’impiego di dipendenti e collaboratori, già prevista prima della riforma normativa operata con la legge di bilancio del 2019. Per accedere al regime forfetario i soggetti interessati - oltre ad aver conseguito ricavi o compensi non superiori a 65.000 euro - non devono aver sostenuto, nell’anno precedente, spese complessivamente superiori a 20.000 euro lordi per: - lavoro accessorio di cui all’art. 70, D.Lgs. n. 276/2003. Si tratta, peraltro, di una disciplina che è stata abrogata dal D.L. n. 25/2017; - lavoratori dipendenti e collaboratori di cui all’art. 50, comma 1, lettere c) e c-bis), TUIR, anche assunti secondo la modalità riconducibile a un progetto ai sensi dell’art. 61 e seguenti, D.Lgs. n. 276/ 2003 - disciplina peraltro superata dal decreto del 25 giugno 2015; - associati in partecipazione di cui all’art. 53, comma 2, lettera c), il cui apporto è costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro; - il lavoro prestato o l’opera svolta dall’imprenditore, dal coniuge, dai figli, affidati o affiliati minori di età o permanentemente inabili al lavoro e dagli ascendenti nonché dai familiari partecipanti all’impresa familiare di cui all’art. 5, comma 4, TUIR. Il limite è stato, quindi, innalzato da 5.000 (in vigore fino al 2018) a 20.000 euro. Nella risposta al question time del 1° febbraio 2012 era stata affermata, con riguardo al regime “dei minimi”, l’impossibilità di escludere le somme spettanti alle donne in maternità e in caso di malattia o infortunio. L’Agenzia non ha, invece, chiarito se assuma rilevanza, a tal fine, anche l’impiego di tirocinanti. Nella circolare n. 7/E del 2008 (paragrafo 2.13, quesito a) era stato ritenuto che non rilevassero le spese per prestazioni di natura occasionale. Nella risoluzione del 3 luglio 2008, n. 275/E, era stato, poi, precisato che doveva tenersi conto anche delle spese per il personale “in prestito”. La causa di esclusione per dipendenti e pensionati L’art. 1, comma 111, della legge di Stabilità 2016 aveva previsto, a partire dal 2016, una nuova causa ostativa al regime forfetario per gli imprenditori e i lavoratori autonomi che avessero percepito, nell’anno precedente, redditi di lavoro dipendente e redditi ad essi assimilati, di cui agli articoli 49 e 50 TUIR, eccedenti l’importo di 30.000 euro. Tale previsione era stata abolita dalla legge di Bilancio 2019. Nell’art. 88, comma 2, lettera d), della legge di Bilancio 2020 è stato ora previsto il ripristino di questa causa ostativa, inserendo nell’art. 1, comma 57, legge n. 190/2014 una nuova lettera d-bis). La finalità perseguita mediante tale intervento è, evidentemente, quella di evitare che soggetti esercenti attività di lavoro dipendente o assimilate nell’anno precedente a quello di applicazione del regime forfetario, da cui abbiano ritratto livelli reddituali piuttosto elevati, possano comunque beneficiare del regime in questione per le attività d’impresa, arti o professioni esercitate. Con la reintroduzione di tale disposizione non sarà, però, più “stimolata” l’emersione delle attività svolte “in nero” da lavoratori dipendenti e pensionati. Atteso il riferimento normativo ai redditi di cui agli articoli 49 e 50 TUIR, non rilevano, ad esempio, gli utili attribuiti agli associati in partecipazione che apportano solo lavoro di cui all’art. 53, comma 2, lettera c), TUIR, i redditi di lavoro autonomo occasionale di cui all’art. 67, comma 1, lettera l), e i redditi percepiti a seguito della cessione di diritti d’autore. Si ritiene che la verifica della soglia citata debba valere anche in ipotesi di avvio dell’attività in regime forfetario nel corso dell’anno. È stata mantenuta la precisazione che “la verifica di tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato” (si intende nell’anno precedente). L’Agenzia delle entrate ha chiarito, nella circolare del 4 aprile 2016, n. 10/E, che: - assumono in ogni caso rilevanza i redditi da pensione, in quanto rientranti tra quelli di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 49, comma 2, lettera a), TUIR; - il limite reddituale di 30.000 euro rileva, invece, nell’ipotesi in cui, nello stesso anno, “il contribuente abbia cessato il rapporto di lavoro dipendente ma ne abbia intrapreso uno nuovo, ancora in essere al 31 dicembre. Ciò in coerenza con la ratio della disposizione, che ha il fine di incoraggiare il lavoratore rimasto senza impiego e senza trattamento pensionistico mediante la concessione di agevolazioni fiscali”; - ai fini della non applicabilità della causa di esclusione “rilevano solo le cessazioni del rapporto di lavoro intervenute nell’anno precedente a quello di applicazione del regime forfetario”. Rilevanza del reddito “forfetario” al fine di ottenere ulteriori benefici È stato, inoltre, stabilito che il reddito determinato forfetariamente ed assoggettato a imposta sostitutiva deve essere computato nel reddito complessivo del soggetto esercente attività d'impresa, arte o professione per determinare la condizione di familiare fiscalmente a carico, per calcolare le detrazioni per carichi di famiglia, le altre detrazioni d'imposta previste dall'art. 13 TUIR, le detrazioni per canoni di locazione di cui all'art. 16 TUIR e, in generale, per stabilire la spettanza o la misura di benefici, fiscali e non, collegati al possesso di requisiti reddituali (quali, in particolare, quelli per i quali è richiesta la presentazione dell'ISEE). Si tiene conto del reddito assoggettato a imposta sostitutiva anche nelle ipotesi in cui al maggior reddito complessivo sia collegato un maggior beneficio come, ad esempio, nel caso di detrazioni per le erogazioni liberali in favore di associazioni senza scopo di lucro di cui all'art. 15, comma l, lettera i), TUIR, spettanti nel limite massimo del 2% del reddito complessivo. Fino al 2019 è stato, invece, in vigore un differente regime, in base al quale il reddito determinato forfetariamente ha assunto rilievo, unitamente al reddito complessivo, ai fini del riconoscimento delle detrazioni per carichi di famiglia di cui all’art. 12, comma 2, TUIR. Tale reddito non rileva, invece, ai fini della spettanza delle detrazioni oggettive individuate nell’art. 13 TUIR. Per effetto di tale irrilevanza, il contribuente che ha percepito redditi di lavoro dipendente o assimilati ha avuto, quindi, diritto a determinare la detrazione prevista senza tener conto del reddito soggetto al regime forfetario.