L’aiuto alla crescita economica (ACE), introdotto dal D.L. n. 201/2011 (decreto Monti) quale misura volta al rafforzamento della struttura patrimoniale delle imprese e del sistema produttivo italiano, arriva al capolinea. A decorrere dal 1° gennaio di quest’anno l’intera disciplina è stata soppressa dalla legge di Bilancio 2019 in conseguenza dell’introduzione di un ulteriore incentivo consistente in una riduzione dell’aliquota IRES (ribattezzata, per l’appunto, mini IRES), modificata da ultimo dal decreto Crescita. In termini pratici, si ricorderà, l’aiuto alla crescita economica si sostanziava nella possibilità di dedurre dal reddito d’impresa, un importo corrispondente al rendimento nozionale degli incrementi di capitale proprio, realizzati a partire dal periodo d’imposta 2011. La deduzione, in particolare, veniva operata dal reddito complessivo netto, ovvero, già ridotto di eventuali perdite pregresse. Ove l’importo del rendimento nozionale fosse stato superiore al reddito complessivo netto, l’eccedenza poteva essere riportata nei periodi d’imposta successivi (sia ai fini IRES, che ai fini IRAP) senza alcun limite quantitativo o temporale, per esser poi dedotta a partire dal primo reddito imponibile capiente. Scopo primario della misura era, dunque, quello di elidere lo squilibrio nel trattamento fiscale tra capitale di debito e capitale proprio, incentivando quest’ultimo attraverso una consistente riduzione dell’imposizione. Un meccanismo di base, per certi versi, mutuato da quello della “Dual income tax” introdotta dal D.Lgs. n. 446/1997 (applicabile fino al periodo d’imposta 2002): analogamente a quanto previsto per l’ACE, anche tale ultima misura era finalizzata al rafforzamento patrimoniale delle imprese e si basava sull’applicazione del rendimento figurativo del capitale alla variazione in aumento; tuttavia, a differenza dell’ACE, tale beneficio consisteva in un’aliquota ridotta, anziché in un abbattimento dell’imponibile. Eccedenze sfruttabili fino all’esaurimento Ciò premesso, è bene evidenziare che l’abrogazione operata dal Legislatore fa salva la possibilità per le imprese di scomputare l’eccedenza di ACE del periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2018, dal reddito complessivo netto dei periodi d’imposta successivi, ai sensi di quanto disposto dal comma 2 dell’art. 3 del decreto ACE (D.M. 3 agosto 2017, recante “Revisione delle disposizioni attuative in materia di aiuto alla crescita economica”) a mente del quale “l’importo di rendimento nozionale che supera il reddito complessivo netto dichiarato può essere computato in aumento dell’importo deducibile, ai fini del presente decreto, dal reddito complessivo netto dei periodi di imposta successivi ovvero utilizzati ai sensi del comma 3”. Così la circolare n. 8/E del 2019 dell’Agenzia delle Entrate. Detto altrimenti, l’agevolazione viene meno ma continueranno ad essere sfruttate, sino ad esaurimento, le eccedenze pregresse formatesi per incapienza del reddito imponibile. Già la Relazione illustrativa al disegno di legge di Bilancio 2019 aveva rassicurato gli operatori sul fatto che l’abrogazione del regime ACE non avrebbe comportato il divieto di utilizzo delle eccedenze di reddito nozionale maturate. La stessa Relazione aveva, altresì, ribadito come tale facoltà fosse dettata “dall’esigenza di salvaguardare i diritti quesiti” (ossia, quelle situazioni soggettive divenute immutabili con il decorso del tempo). Le indicazioni delle Entrate In tale ottica, l’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 5/E del 21 marzo 2019, ha chiarito come l’eccedenza riportabile di ACE, laddove ancora disponibile, possa essere - su richiesta del contribuente - riconosciuta anche a scomputo del maggior imponibile accertato in sede di definizione in adesione. Sul punto, l’Agenzia ha precisato che “nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione, il contraddittorio costituisce la sede idonea per operare, su richiesta del contribuente, il riconoscimento dell’eccedenza di ACE, in considerazione della necessità di operare il riscontro dell’utilizzabilità di tale eccedenza, anche con riferimento alla spettanza sostanziale della stessa”. Per le stesse ragioni, anche per i soggetti aderenti al consolidato fiscale è ammesso il riconoscimento dell’eccedenza di ACE riportabile a scomputo del maggior imponibile accertato, in sede di definizione in adesione e su richiesta del contribuente, “applicando i necessari adattamenti dovuti alle peculiarità del regime del consolidato nazionale”.