L'utilizzo improprio del regime del margine può provocare la condanna a titolo di dichiarazione fraudolenta. Per la prima volta la Corte di cassazione, con la sentenza n. 42147 del 15 ottobre 2019, ha affrontato in maniera non episodica il tema della qualificazione penale della condotta di chi, impropriamente, ha fatto ricorso al meccanismo che permette, a determinate condizioni, di ridurre la base imponibile circoscrivendola alla differenza tra il prezzo di rivendita del bene e il valore di acquisto dello stesso. Confermato quindi il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti dell’amministratore di una serie di società che aveva concretizzato un sistema di evasione fondato sull’acquisto all’estero di automobili, esente da Iva, per poi vendere i veicoli in Italia, utilizzando il regime del margine, facendo figurare gli acquirenti finali come diretti acquirenti delle auto all’estero, sulla base di false dichiarazioni sostitutive di atto notorio. A venire contestata dalla difesa era la stessa possibilità di configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta attraverso «altri artifizi» nel caso di uso improprio del regime del margine. Per la Cassazione, tuttavia, va innanzitutto sottolineato che per il reato (articolo 3 del Dlgs 74/00) è necessaria l’esistenza di un elemento aggiuntivo rispetto alla falsa rappresentazione cristallizzata nelle scritture contabili obbligatorie. Serve, tanto più dopo la riforma del 2015, cioè una condotta caratterizzata da un’elevata capacità di mascheramento e ostacolo all’accertamento della falsità delle rappresentazioni contabili. E allora, l’annotazione nelle fatture della dizione «operazione in regime del margine ex Dl 41 del 1995», ha sicuramente, nella lettura della Corte, una portata elevata di inganno, dal momento che si fanno credere esistenti presupposti in realtà assenti, spingendo così all’errore l’Amministrazione finanziaria. Si tratta di «un artificioso apparato documentale», che si distingue dalla omessa fatturazione o annotazione di elementi attivi nelle scritture contabili o dalla indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali. In quest’ultimo caso, infatti, distingue la Cassazione, si configura in sostanza un’omessa dichiarazione. Nel caso della “truffa” sul regime del margine, invece, «sono realizzate apparenze documentali specificamente dirette a rappresentare, contrariamente al vero, l’esistenza delle condizioni fattuali e giuridiche legittimanti l’applicazione di una disciplina giuridica non utilizzabile». La sentenza respinge poi anche la tesi difensiva che contestava l’impossibilità di applicazione dell’articolo 3 per l’inesistenza di un fenomeno di evasione dell’Iva visto che non si tratta di un’imposta riscossa e non versata come nelle frodi carosello, ma solo non applicata.