Il raddoppio dei termini per violazioni penali, abrogato dalla L. 208/2015 a partire dal periodo di imposta 2016 (dichiarazioni che avrebbero dovuto essere presentate nel 2017), è sempre stato oggetto di interpretazione oltremodo estensiva da parte sia della Corte Costituzionale, sia della giurisprudenza di legittimità. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23662 del 3 agosto 2023, ha aggiunto un tassello alla menzionata interpretazione estensiva, sancendo che il raddoppio dei termini, con la sola esclusione dell’IRAP, opera anche per gli atti di contestazione di sole sanzioni, quindi anche per l’irrogazione della sanzione ai soci di fatto e al professionista concorrente nella violazione ai sensi dell’art. 9 del DLgs. 472/97 (in sentenza non si affronta l’annoso tema inerente alla legittimità di questa sanzione, ad esempio per violazione dell’art. 7 del DL 269/2003). Anticipiamo che a livello estrinseco il ragionamento ha una base normativa, la cui comprensione impone di illustrare brevemente l’esegesi dell’istituto. Il raddoppio dei termini è stato introdotto dal DL 223/2006 che ha modificato in questo senso gli artt. 43 del DPR 600/73 e 57 del DPR 633/72: si tratta di un istituto espressamente circoscritto agli avvisi di accertamento, salvo deroghe di legge (si pensi all’art. 27 comma 18 del DL 185/2008, che lo ritiene operante per gli avvisi di recupero dei crediti di imposta, nel solo caso dei crediti inesistenti). Poi è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 247 del 2011, che ha fornito una lettura a dir poco orientata verso gli interessi erariali, seguita punto per punto dalla giurisprudenza di legittimità: il raddoppio opera solo se ci sono gli estremi per inoltrare la denuncia e a prescindere dal fatto che questa sia stata inoltrata e a prescindere dalle vicende del processo penale nonché dalla sussistenza del reato. Non rileva se gli elementi penalmente rilevanti sono emersi quando i termini ordinari erano decaduti, ma comunque il giudice tributario può verificare se c’è stato un uso pretestuoso del raddoppio (vista tale interpretazione estensiva, il vaglio del giudice non può che ritenersi ridotto al minimo). È sopravvenuto il DLgs. 128/2015, che, per tutelare i contribuenti, ha sancito non solo che serve la denuncia, ma che questa va presentata entro i termini ordinari di accertamento. Si tratta di uno dei pochi casi in cui sembra essere il Parlamento a ovviare a una interpretazione molto favorevole all’Erario della Corte Costituzionale, e non viceversa. Poi come detto il raddoppio è stato abrogato dalla L. 208/2015. L’art. 2 comma 3 del DLgs. 128/2015 ha previsto una disciplina transitoria, che, per quanto interessa ai nostri fini, così prevedeva: “Sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Si deve pertanto ammettere che il legislatore non ha inteso escludere tout court gli atti di contestazione di sole sanzioni, ma si tratta indubbiamente di norma che può essere interpretata in diverse maniere. Volendo adottare un’ottica garantista, si può trattare delle sanzioni che sono state irrogate in via disgiunta dal tributo, o prima del DL 98/2011 (il suddetto DL, modificando l’art. 17 del DLgs. 472/97, ha stabilito che le sanzioni collegate al tributo vanno irrogate insieme all’accertamento) o quando il tributo è stato già pagato, ad esempio mediante ravvedimento operoso disconosciuto dagli uffici. Non stupisce, visti i precedenti, che la Cassazione abbia adottato l’ermeneutica meno garantista, essendo ciò coerente con l’orientamento secondo il quale il raddoppio, automaticamente, opera per i soci di snc (Cass. 2 luglio 2018 n. 17212 e 28 gennaio 2021 n. 1883) e per i soci di società di capitali raggiunti dalla presunzione di distribuzione degli utili neri (Cass. 7 ottobre 2015 n. 20043 e 6 luglio 2022 n. 21295). Aggiungiamo che l’art. 2 comma 3 del DLgs. 218/97 ha introdotto un elemento di incertezza parlando di “altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria”. Il DL 223/2006, in origine, ha circoscritto il raddoppio ai soli avvisi di accertamento e il DLgs. 128/2015 ne potrebbe estendere l’ambito ad altri atti impositivi come le cartelle di pagamento (si pensi al reato di omesso versamento IVA o di ritenute), opzione interpretativa che tuttavia non convince. Su quest’ultimo aspetto non si rinvengono ancora pronunce. Tanto detto, non dovrebbero in ogni caso sussistere dubbi sull’inapplicabilità del raddoppio per le sanzioni non collegate al tributo, come per il quadro RW.