Alti compensi alla moglie: scatta l’IRAP

Deve pagare l'IRAP il titolare di un'impresa familiare (nel caso di specie, promotore finanziario) che eroga elevati compensi (variabili tra 40.000 e 120.000 euro annui) al proprio collaboratore (la moglie). La consistente entità della spesa è infatti incompatibile con l'insussistenza di un'autonoma organizzazione, con il conseguente assoggettamento a imposta del contribuente. È quanto sostenuto dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 22469 del 9 settembre 2019. Per quanto si evince dal testo della pronuncia, i giudici di legittimità sembrano affermare che la corresponsione di compensi elevati è circostanza comunque idonea a superare i rilievi difensivi svolti dal contribuente, tesi a dimostrare la mera esecutività delle mansioni svolte dal collaboratore. A ben vedere, le mansioni "generiche o meramente esecutive" che il dipendente o collaboratore può svolgere senza che queste diventino idonee a configurare un’autonoma organizzazione in capo al datore di lavoro (cfr. Cass. SS.UU. n 9451/2016) andrebbero individuate sulla base di criteri differenti da quello remunerativo. A titolo esemplificativo, in dottrina sono state citate le funzioni di infermiere e addetto alla pulizia dei locali. Con specifico riferimento, invece, alle mansioni segretariali, la questione appare più complessa: infatti, accanto ad attività generiche (es. risposte al telefono, rapporti con la clientela e archiviazione di pratiche), talvolta ne vengono svolte altre più di concetto (es. tenuta della contabilità, redazione di decreti ingiuntivi, predisposizione delle parcelle), per le quali l'inidoneità a creare valore aggiunto in capo al professionista potrebbe apparire plausibile, ma presenta comunque margini di opinabilità. Sul punto, la medesima Cassazione (sentenza n. 26991/2014) ha ritenuto che "l'apporto di un collaboratore che apra la porta o risponda al telefono, mentre il medico visita il paziente o l'avvocato riceve il cliente" rientri "secondo l’id quod plerumque accidit, nel minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività professionale". In altri termini, ad avviso dei giudici di legittimità, il rispondere al telefono e il ricevere i clienti configurerebbero in ogni caso mansioni atte a escludere la sussistenza del presupposto impositivo, nelle altre ipotesi, invece, sarebbe necessaria una valutazione caso per caso. A tali fini, sembra comunque irrilevante il livello di inquadramento del dipendente o collaboratore. A quanto ci consta, nessuna delle sentenze di merito o legittimità a oggi intervenute hanno giudicato dirimente tale aspetto. Anzi, nelle motivazioni delle pronunce che vi fanno espresso riferimento (Cass. nn. 1853/2017 e 26417/2017), è stata comunque sottolineata la necessità di provare le effettive mansioni svolte. Inoltre, si tenga presente che il principio di necessaria corrispondenza tra le mansioni svolte e la qualifica attribuita al dipendente opera soltanto verso il basso: in pratica, "al lavoratore, come trattamento di favore, può essere attribuita una qualifica superiore a quella corrispondente alle mansioni effettivamente svolte" (cfr., tra le molte, Cass. n 13326/2002). Invece, non è possibile attribuire una qualifica di livello minore rispetto a quella che prevede lo svolgimento delle mansioni assegnate.

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Se gli emolumenti sono elevati, nessun rilievo assume il tipo di mansione svolta

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