È legittimo il licenziamento disciplinare per il lavoratore che si assenta per oltre tre giorni senza comunicarne la ragione. E ciò anche se si trova in carcere. La detenzione infatti, pur potendo essere astrattamente un motivo idoneo, non giustifica l’assenza del dipendente, il quale, per rispettare gli obblighi di correttezza e buona fede, avrebbe dovuto attivarsi per renderlo noto formalmente e tempestivamente al datore di lavoro. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13383 depositata il 16 maggio 2023. IL FATTO Nella specie, il recesso era stato motivato dall'assenza protratta per un tempo superiore a tre giorni (alla data della contestazione superiore a due mesi), tempo già ritenuto dal c.c.n.l. idoneo a risolvere il rapporto, assenza non accompagnata da alcuna giustificazione per oltre due mesi, giacché la prima comunicazione a mezzo e-mail (incompleta) era pervenuta il 23/02/2021, mentre solo nell'incontro con i difensori, avvenuto in data 08/03/2021, erano state chiarite le circostanze della detenzione. Pertanto, sebbene la detenzione in carcere possa rappresentare un motivo astrattamente idoneo a giustificare l'assenza, il lavoratore, per rispettare gli obblighi di correttezza e buona fede, avrebbe dovuto provvedere ad una tempestiva comunicazione onde porre l'azienda in condizione di riorganizzare il servizio. In questo senso - prosegue la Corte territoriale -, risultava irrilevante il fatto che il direttore amministrativo avesse appreso informalmente dalla moglie del lavoratore che costui era agli arresti, perché l'informazione era incompleta e non idonea a consentire all'azienda di assumere i provvedimenti necessari alla sostituzione del dipendente, in difetto di informazioni sulla ragione dell'arresto, il carattere o meno temporaneo della misura, la durata, insomma le notizie minime utili per assumere le conseguenti determinazioni. In sintesi, una comunicazione priva dei requisiti minimi per svolgere la sua funzione, in quanto resa verbalmente, in modo assolutamente incompleto, non era idonea a giustificare un'assenza protrattasi per lungo tempo senza alcuna notizia ufficiale, considerato, peraltro, che trascorsi i quattordici giorni di isolamento sanitario, il lavoratore avrebbe ben potuto disporre per suo conto una comunicazione scritta esaustiva dei motivi dell'assenza e della durata e ciò già a dicembre 2020, mentre egli si era completamente disinteressato di aver abbandonato il posto di lavoro e di aver lasciato il datore privo di notizie in merito alla sua assenza, peraltro destinata a durare a lungo (condanna a sei anni e nove mesi di reclusione). LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha confermato il giudizio della Corte territoriale. Ad avviso degli Ermellini, correttamente i giudici hanno motivato il proprio convincimento in ordine alle caratteristiche che deve possedere la comunicazione del lavoratore circa l'assenza dal servizio (tempestiva, efficace ed esaustiva, nel senso di indicare i motivi dell'assenza e la sua durata presumibile) per essere funzionale, in modo da consentire al datore di approntare la sostituzione e comunque di riorganizzare il servizio in mancanza del lavoratore assente. Tanto premesso in linea generale, nella sentenza impugnata è stato sottolineato che, nel caso di specie, il fatto che il direttore amministrativo avesse appreso informalmente dalla moglie del lavoratore la circostanza che lo stesso era stato tratto in arresto, non poteva assumere rilievo, perché l'informazione era incompleta ed inidonea a consentire al datore le valutazioni di competenza, difettando la ragione dell'arresto, la natura (cautelare o definitiva), la durata (breve o lunga). Ne consegue, in conclusione, la legittimità del licenziamento intimitato.