La transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro (art. 1965 c.c.). Ai sensi dell’art. 2113 c.c. le rinunce e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide. Il quarto comma del medesimo articolo del Codice Civile stabilisce un’eccezione, ovvero la non impugnabilità delle conciliazioni intervenute ai sensi degli articoli 185, 410 e 411, 412 ter e 412 quater del codice di procedura civile in quanto trattasi di conciliazioni avvenute in sedi protette. Effettività dell’assistenza Come rammentato dalla Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 9006 del 1° aprile 2019, le rinunce e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro previsti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, contenute in verbali di conciliazione conclusi in sede sindacale – che è una sede protetta - non sono impugnabili, a condizione che l'assistenza prestata dai rappresentanti sindacali - della quale non ha valore equipollente quella fornita da un legale - sia stata effettiva, così da porre il lavoratore in condizione di sapere a quale diritto rinunci e in quale misura, nonché, nel caso di transazione, a condizione che dall'atto stesso si evincano la questione controversa oggetto della lite e le reciproche concessioni in cui si risolve il contratto transattivo ai sensi dell'articolo 1965 c.c. (Cass. 23 ottobre 2013, n. 24024). Inoltre, dalla scrittura contenente la transazione devono risultare gli elementi essenziali del negozio, e quindi, la comune volontà delle parti di comporre una controversia in atto o prevista, la res dubia, vale a dire la materia oggetto delle contrastanti pretese giuridiche delle parti, nonché il nuovo regolamento di interessi, che, mediante le reciproche concessioni, viene a sostituirsi a quello precedente cui si riconnetteva la lite o il pericolo di lite (Cass. n. 24024/2013). Gli Ermellini hanno, inoltre, chiarito che per res dubia si intende l'incertezza, almeno nell'opinione delle parti, circa il rapporto giuridico intercorrente tra le stesse e le rispettive contrapposte pretese e la corrispettività del sacrificio sopportato, o meglio le reciproche concessioni (Cass. 1° aprile 2010, n. 7999; Cass. 6 maggio 2003, n. 6961; Cass. 22 febbraio 2000, n. 1980), senza che di tali pretese sia necessaria l'esteriorizzazione (Cass. 6 giugno 2011, n. 12211; Cass. 21 settembre 2005, n. 18616) e senza che acquisti rilievo l'eventuale squilibrio tra il datum ed il retentum (Cass. 30 aprile 2015, n. 8808; Cass. 3 aprile 2003, n. 5139; Cass. n. 1980/2000 cit.) dovendosi, a tal fine, ricordare che l'articolo 1970 c.c., esclude che la transazione possa essere rescissa per causa di lesione in quanto la considerazione dei reciproci sacrifici e vantaggi derivanti dal contratto ha carattere soggettivo, essendo rimessa all'autonomia negoziale delle parti. Sentenza del Tribunale di Roma In data 8 maggio 2019 il Tribunale di Roma, con sentenza n. 4354, ha sostenuto che il requisito essenziale richiesto nella conciliazione in sede sindacale, affinché questa sia inoppugnabile, è quello dell'effettiva assistenza che l'associazione sindacale presta al lavoratore e che è, comunque, a contenuto libero. A tal fine è necessario valutare se, in base alle concrete modalità di svolgimento della procedura, sia stata correttamente attuata quella funzione di supporto del lavoratore che la legge assegna alle organizzazioni sindacali. Nel caso di specie, anche se dall'istruttoria orale era emerso che il sindacalista aveva dato lettura del verbale e non era assolutamente emersa una coartazione, neppure morale, da parte di chicchessia operata in danno della ricorrente ai fini di estorcerne la firma, tuttavia il Tribunale ha ritenuto che nella vicenda fosse mancato un contegno concretamente protettivo nei confronti della lavoratrice da parte del sindacalista, un comportamento cioè idoneo a renderla realmente consapevole della portata dell'atto che si accingeva a sottoscrivere, quel che la legge richiede per rendere la conciliazione inoppugnabile. Più nello specifico il sindacalista si era limitato a presenziare alla conciliazione, a dare lettura del verbale ed a spiegare che con la firma non sarebbe più stato possibile svolgere successive contestazioni. Lo stesso non sapeva nulla della concreta vicenda della ricorrente, non era informato della specifica situazione e non ha illustrato la portata della decisione di aderire alla conciliazione sul piano dei costi/benefici, limitandosi ad affermare l'irrevocabilità della scelta. Il sindacalista non aveva, infatti, rappresentato alla lavoratrice che la rinuncia irrevocabile alle rivendicazioni economiche legate all'attività lavorativa svolta dal 2003 fino al 2015 (e in particolare al t.f.r. e ai contributi), aveva luogo a fronte del pagamento della somma di euro 500,00 e della prosecuzione con un posto di lavoro a tempo indeterminato privo però di ogni stabilità perché l'assunzione avveniva da parte di una società con soglia dimensionale inferiore a 15 dipendenti e il contratto di lavoro era assoggettato alla nuova disciplina del Jobs Act, che consente al datore di lavoro di licenziare anche in assenza di giustificato motivo oggettivo a fronte di un indennizzo. A giudizio del Tribunale la conoscenza di tali elementi sarebbe stata indispensabile per esprimere un consapevole consenso da parte della lavoratrice, ragionevolmente ignara della complessa normativa che disciplina la materia e, quindi, in una posizione di evidente debolezza rispetto alla parte datoriale, nella specie peraltro assistita da un proprio consulente del lavoro. Per riportare in equilibrio la situazione sarebbe stata necessaria la profusione di uno sforzo ben maggiore da parte del sindacalista rispetto alla mera lettura del verbale predisposto dal datore di lavoro. In definitiva per il Tribunale la lavoratrice al momento della sottoscrizione non aveva avuto modo di acquisire l'effettiva consapevolezza della reale portata della conciliazione e tale profilo non può ritenersi superato dal fatto che durante l’incontro la lavoratrice sia stata resa edotta dell'effetto preclusivo della conciliazione sindacale. Conclusioni Alla luce di quanto sopra appare evidente che, affinché il verbale di conciliazione concluso in sede sindacale sia inoppugnabile, l’assistenza prestata al lavoratore dai rappresentanti sindacali non può consistere nella mera lettura del verbale – indipendentemente da chi l’abbia predisposto - e nella spiegazione che con la firma non sarà più possibile svolgere successive contestazioni, evidenziando l'irrevocabilità della scelta fatta. Al contrario occorre uno sforzo ben maggiore per colmare lo squilibrio con la parte datoriale, ovvero, quantomeno, bisogna: - illustrare ai lavoratori la portata della decisione di aderire alla conciliazione sul piano dei costi/benefici; - spiegare la normativa applicabile al caso di specie. Solo così i lavoratori potranno essere consci di ciò a cui veramente stanno rinunciando ed a fronte di quali vantaggi più o meno immediati.