La mancata allegazione all’atto impositivo notificato della sentenza di appello emessa dal giudice civile rappresenta una violazione dei principi sanciti dallo Statuto dei diritti del contribuente in quanto impedisce il tempestivo esercizio del diritto di difesa, costringendo il contribuente, anche se parte nel giudizio civile, ad attivarsi per la ricerca del titolo impositivo in pendenza di termine perentorio per proporre il ricorso tributario. Ciò a maggior ragione allorquando il contribuente contesti espressamente di non essere mai venuto a conoscenza del titolo (giudiziario) in quanto mai notificato quandanche il legale della parte, nell’ambito del giudizio civile, avesse ricevuto il dispositivo della sentenza pronunciata. Questo il principio che emerge dalla sentenza della Ctr Lombardia 2846/21/2019 del 28 giugno 2019 pronunciata in riforma di quella emessa dai primi giudici. L’obbligo di motivazione degli atti impositivi è uno strumento essenziale di garanzia del contribuente, soggetto inciso nella propria sfera giuridica dall’amministrazione finanziaria nell’esercizio del suo potere di imposizione fiscale, si inserisce nell’ambito di quei presidi di legalità che, anche in forza delle norme dello statuto dei diritti del contribuente (si veda l’articolo 7 della legge 212/2000), assolvono l’essenziale funzione di garantire la conoscenza e l’informazione dello stesso contribuente in ordine ai fatti posti a fondamento della pretesa fiscale e ai presupposti giuridici della stessa, nel quadro dei principi generali di collaborazione, trasparenza e buona fede che devono improntare, in quanto espressivi di civiltà giuridica, i rapporti tra esso e l’amministrazione. Corollario dell’enunciato principio è che, da un lato, nell’atto impositivo devono confluire tutte le conoscenze dell’ufficio tributario e deve essere esternato con chiarezza, sia pur sinteticamente, l’iter logico-giuridico seguito per giungere alla conclusione prospettata, dall’altro, che le ragioni poste a base dell’atto impositivo segnano i confini del processo tributario, che è comunque un giudizio d’impugnazione dell’atto, sì che l’ufficio finanziario non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse e/o modificare, nel corso del giudizio, quelle emergenti dalla motivazione dell’atto. Anche il focus della questione controversa qui commentata ruota attorno alla verifica del rispetto del citato principio, scolpito nello Statuto dei diritti del contribuente, riferendosi ad un avviso di liquidazione dell’imposta di registro in misura proporzionale connesso ad una sentenza civile emessa dalla Corte d’appello milanese; fra le varie eccezioni la difesa del ricorrente eccepiva proprio il difetto di motivazione considerata l’omessa allegazione al provvedimento impositivo del titolo (giudiziario), presupposto dell’imposizione. La Ctp confermava la liceità della condotta dell’Amministrazione finanziaria in quanto l’avviso opposto «riportava tutti gli estremi che consentono di poter identificare la natura del recupero e di porre pertanto il contribuente in grado di esercitare il diritto alla difesa» nonché, quanto alla mancata allegazione, «che la sentenza cui faceva riferimento l’avviso è un atto che è stato notificato a parte ricorrente e pertanto l’allegazione, peraltro non prevista dalla normativa, non ha alcuna rilevanza. Era un atto perfettamente conosciuto dal ricorrente, non ravvisandosi pertanto alcuna lesione del diritto di difesa». Di parere opposto la Ctr lombarda che decide di riformare il decisum di prime cure così annullando l’opposto atto impositivo. Preliminarmente i giudici regionali richiamano il consolidato orientamento di legittimità in base al quale la mancata allegazione del presupposto impositivo «sia causativa della violazione dell’art. 7 dello Statuto del contribuente, poiché impedisce il tempestivo esercizio del diritto di difesa, costringendo il contribuente, pur parte nel giudizio civile, ad attivarsi per la ricerca del titolo impositivo in pendenza di termine perentorio per proporre il ricorso tributario (Cass. ord. n. 29402/2017; ord. n. 26731/2018; ord. n. 29491/2018)». Nel passaggio più interessante della motivazione il Collegio mette su un binario differente la verosimiglianza di conoscenza da parte del contribuente del titolo giudiziario “presupposto” (essendo ipotesi verosimile che egli ne avesse avuto conoscenza per il tramite dell’avvocato difensore, testualmente indicata nell’avviso di liquidazione), rispetto alla mera affermazione di conoscibilità dell’atto (in presenza di espressa negazione sollevata da parte appellante e di carente prova documentale contraria); in tale ultima circostanza, afferma e conclude la Ctr, «non è sufficiente a dimostrarne l’effettiva pregressa conoscenza, unica circostanza che esimerebbe l’Ufficio dall’onere di allegazione dell’atto presupposto».