Il divieto di restituzione dei beni sottoposti a sequestro probatorio previsto in determinate ipotesi non può riguardare quanto vincolato in relazione a reati tributari. Ciò in quanto per gli illeciti penali tributari si tratta di sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria prevista da legge speciale (art 12 dlgs 74/2000). Tale legge non è tra quelle citate ai fini del mantenimento del sequestro dei beni. Inoltre i beni sequestrati in occasione di reati tributari non costituiscono prezzo di reato o il cui uso, fabbricazione, detenzione ed alienazione costituisca reato. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 32367 del 19 luglio 2019. IL FATTO Un contribuente veniva indagato per aver commesso il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in violazione dell’art. 11 del D.Lgs. 74/2000. Secondo gli inquirenti il contribuente, al fine di non adempiere al versamento delle imposte, avrebbe tentato di trasferire all’estero una determinata somma di denaro. Nelle more delle indagini, la Procura disponeva il sequestro della predetta somma. Avverso detta misura, la difesa del contribuente proponeva istanza di riesame, innanzi al competente Tribunale, per ottenere il dissequestro. Il giudice, pur non ritenendo configurabili esigenze istruttorie in ordine alla misura, non consentiva comunque la restituzione delle somme, in forza di quanto disposto dall’art. 324, comma 7 cpp. La norma, infatti, prescrive che la revoca del provvedimento non può essere disposta nei casi di confisca obbligatoria. Avverso tale ordinanza il contribuente proponeva ricorso in Cassazione. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del contribuente indagato. I giudici di legittimità, in conformità a quanto statuito dalle SS.UU, hanno chiarito che il divieto di restituzione previsto dall’art. 324, comma 7 c.p.p. opera nei casi di revoca del sequestro preventivo ed anche in quelli di annullamento del sequestro probatorio. Il suddetto divieto, prosegue la Corte, riguarda i beni rientranti nella casistica della confisca obbligatoria (art. 240, comma 2 c.p.p.), ossia documenti, supporti ed atti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi a traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti; nonché documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni. Pertanto, sono esclusi dal suddetto divieto, le cose non espressamente previste e quelle anche soggette a confisca obbligatoria ma contemplata da previsioni speciali, ad eccezione dei casi in cui le norme richiamino espressamente l’art. 240 o facciano riferimento al prezzo del reato o a cose la cui fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione, l’alienazione delle quali costituisca reato. Nel caso di specie il divieto di restituzione è stato esteso al denaro, bene per il quale è prevista la confisca dalla norma speciale (art. 12 DLgs 74/2000), che però non richiama in alcun modo le previsioni di cui all’art. 240, comma 2 c.p.p. Da qui l’accoglimento del ricorso.